Al
gener nostro il fato
non
donò che il morire. Omai disprezza
te,
la natura, il brutto
poter
che, ascoso, a comun danno impera,
e
l'infinita vanità del tutto.
(Giacomo
Leopardi, A se stesso, vv. 11-16)
Noto Antica: con questo
nome si intende oggi un sito archeologico a una decina di chilometri
dall'attuale città di Noto. Chi la visita incontra tracce delle mura
di un castello e scarsi resti di conventi e palazzi. Accanto ad uno
di questi, un cartello informa che lì sorgeva «Palazzo
Landolina di Belludia. Il più fastoso palazzo nobiliare barocco
della città, costruito nei primi decenni del Seicento. Il portale
era sormontato da un grande balcone panciuto, sorretto da una
quadriga alata. Vi era scolpito il motto latino: Magni spes altera
Olympi». La frase
(letteralmente: seconda speranza del grande Olimpo) indica la
posizione sociale della nobile famiglia, che in quella zona si
riteneva seconda soltanto ai sovrani spagnoli.
Fra il 9 e l'11 gennaio
del 1693, una serie di scosse di terremoto distrusse gli edifici
della ricca e potente Noto; oggi delle rovine rimangono soltanto
poche pietre. Scomparve così uno degli innumerevoli simboli della
superbia umana, proprio al termine di un secolo che sulla vanità dei
beni terreni aveva molto riflettuto e nel quale si era diffuso, in
Europa, un genere di pittura che portava precisamente il nome di
vanitas. Era nato nei Paesi Bassi, per il concorso di tre
fattori: l'esperienza frequente, nel Seicento, di guerre, carestie e
pestilenze; il divieto imposto dalla dottrina calvinista di venerare
immagini sacre, che aveva indirizzato i pittori verso soggetti laici
arricchiti di elementi simbolici, scelti per alludere alla sfera
spirituale e religiosa; l'interesse della benestante borghesia
mercantile per queste opere d'arte. Nelle vanitas si vedono
oggetti di vetro, bolle, spirali di fumo e tutto quanto possa
richiamare alla mente la fragilità dei desideri, dei piaceri e delle
aspettative terrene dell'uomo. Alla transitorietà della vita si
contrappone la definitività della morte. Si veda la Vanitas
di Philippe de Champaigne, nella quale gli oggetti simbolici sono
disposti sopra un ripiano di fredda pietra bianca che ricorda una
lastra tombale.
Philippe de Champaigne,
Vanitas (1670, Le Mans, Musée des Beaux-Arts)
Jan Brueghel il Vecchio,
dipingendo fiori, bruchi, crisalidi
e farfalle, sottolinea che nulla permane immutato nel tempo.
Jan Brueghel il Vecchio,
Natura morta con vaso di fiori, crisalidi e farfalle (1610 circa, copia di bottega, Accademia Carrara, Bergamo)
Può essere interessante
notare che in Giappone, nello stesso secolo, un'altra borghesia
mercantile in ascesa si appassionava ad un analogo genere artistico:
gli ukiyo-e.
Lasciate le rovine di
Noto Antica, mi sono diretto a nord verso Palazzolo Acreide. Qui le
persone che ho incontrato mi hanno spiegato quanto siano importanti
le feste patronali di San Paolo, il 29 giugno, e San Sebastiano, il
10 agosto. In occasione di quest'ultima, mi viene raccontato, una
statua del santo del peso di 1300 kg viene portata in processione da
80 giovani che si alternano a sostenerla, 40 per volta e per una
decina di minuti. Essere prescelto per far parte degli ottanta è
l'obiettivo di così tanti ragazzi che esiste una lista d'attesa
nella quale si può rimanere anche per anni. La processione dura dalle 13 fino a mezzanotte, accompagnata da botti, esplosioni di
fettucce arrotolate di carta colorata e lancio di coriandoli. Il
giorno precedente, le donne preparano ciambelle di pane di oltre un
metro di diametro, che il mattino della festa vengono raccolte di
casa in casa con un apposito carretto trainato da asini, poi messe
all'asta e acquistate dalle donne più anziane in modo che sulla
tavola di ogni famiglia riunita ce ne sia una da spezzare e mangiare.
Si potrebbe obiettare che
queste feste religiose implichino un enorme dispendio di energie del
tutto inutile da un punto di vista sociale, economico e ancor di più
politico. “Se le donne e gli uomini di Palazzolo si impegnassero
con la stessa dedizione per risolvere i problemi della loro
città...”, viene da pensare; e poi, riflettendo sul gran numero di
analoghe faticose processioni che si svolgono ogni anno in tutta
Italia, si giunge a concludere che esista un capitale di energie
sciupate con le quali si potrebbero affrontare e forse superare
chissà quanti secolari ostacoli che impediscono il progresso civile
del nostro Paese.
La mia lettura del
fenomeno è diversa: in una qualsiasi regione italiana può essere
visto come vano, invece, proprio l'impegno nelle questioni sociali,
economiche e ancor di più politiche, perché qualsiasi sforzo è
dapprima ostacolato e infine impedito da rivalità, invidie e
gelosie, da conservatorismi arcigni, ingenuità autolesionistiche e,
non raramente, da catastrofi naturali. Impegno, dunque, che conduce
alla frustrazione, uno stato d'animo che non è sopportabile per
lungo tempo. Altrettanto deprimente, tuttavia, è la prolungata
inazione. Ecco, allora, che appare chiara la funzione della festa
patronale: caratterizzata da un rituale che è enormemente
impegnativo, ma destinato infallibilmente al successo, essa è
portatrice di una compensazione che può costituire una motivazione
sufficiente per continuare a vivere per il resto dell'anno, in attesa
della processione successiva. Dedicarvi le proprie energie appare,
sotto questa luce, una scelta di buon senso. Come in tutti i rituali,
infatti, la ripetizione del copione tranquillizza i partecipanti, i
quali sanno che la riuscita dell'evento – già sperimentata in
passato – è alla loro portata. Allo stesso tempo, le fatiche e le
difficoltà che il rituale implica, lo rendono sufficientemente
eroico agli occhi di tutti i soggetti che sentono il bisogno di
mettersi alla prova per mostrare – agli altri e a se stessi - le
proprie qualità. Un cimento, si direbbe, ma, a essere onesti,
facilitato dalla rimozione di gran parte dei rischi e degli
imprevisti della vita sociale; un lenitivo delle asprezze della vita,
certo, ma con la consistenza di un sogno. In conclusione, una
vanitas.
Un ultimo dubbio: queste
considerazioni non valgono forse anche per il viaggio?
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