Abbiamo visto come gli
incontri siano essenziali per il modo di viaggiare e di scrivere di
Bruce Chatwin. Aggiungiamo che gli incontri che si fanno in un libro
sono fondamentali anche per la nostra divagazione da un libro
all'altro.
Vediamo un esempio; il capitolo 19 di In Patagonia
si conclude con questa frase:
Da
Epuyen andai a piedi a Cholila, un abitato vicino alla frontiera
cilena.
E
il capitolo successivo si apre con una descrizione:
Misi
la mano contro la parete. L'aria passava dalle fessure dove si era
staccata la malta. La capanna di legno era fatta all'americana. In
Patagonia le costruiscono in modo diverso e non chiudono gli
interstizi con la malta.
Segue
il dialogo fra il viaggiatore e gli attuali abitanti della capanna, i
signori Sepúlveda. Ma nel capitolo 21 scopriamo che:
Il
costruttore della capanna era stato un americano già non più
giovane nel 1902, abbastanza ben piantato, con capelli sale e pepe,
dita affusolate e un corto naso romano. Aveva un modo di fare
piacevolmente disinvolto e un sorriso malizioso. Si doveva sentire a
casa sua, lì a Cholila, perché la campagna era identica ad alcuni
luoghi del suo stato natale, lo Utah: aria pura e grandi spazi, neri
altipiani rocciosi e montagne azzurre, e boscaglia grigia interrotta
qua e là da distese di fiori gialli; un paese di ossami ripuliti
dagli avvoltoi, sferzato da un vento così forte da scorticarti vivo.
Quell'inverno era solo. Gli piaceva molto leggere e si faceva
prestare dei libri da un vicino inglese. […] Scrivere non gli
riusciva facile, tuttavia trovò il tempo di buttar giù questa
lettera a una amica del suo paese:
[…]
Sarete sorpresa di ricevere mie notizie da questa terra così
lontana, ma negli ultimi due anni gli Stati Uniti erano diventati
troppo piccoli per me. Ero inquieto. […] un altro mio zio morì
lasciando 30.000 dollari alla nostra famigliola di 3 persone, così
ho preso i miei 10.000 e mi sono messo in viaggio per vedere un
altro po' di mondo. […]
Lo
zio morto cui si accenna nella lettera era in realtà la rapina ai
danni della First National Bank di Winnemucca, nel Nevada, compiuta,
il 10 settembre 1900, dalla banda del Wild Bunch. L'autore della
lettera era Robert Leroy Parker, meglio noto come Butch Cassidy, nome
a quel tempo in testa alla lista dell'Agenzia Pinkerton dei criminali
più ricercati. La «piccola famiglia di 3 persone» era un ménage
à trois formato
da lui stesso,da Harry Longbaugh detto il Sundance Kid, e dalla bella
amante dei due banditi, Etta Place.
Dopo
questo incontro con la capanna di Butch Cassidy, gli spostamenti e la
narrazione di Chatwin incroceranno spesso i luoghi e le vicende di
cui i due fuorilegge furono protagonisti. Per noi, è l'occasione per
spostarci verso un altro racconto, questa volta sotto forma di
fumetto: Y todo a media
luz di Hugo Pratt.
Il
protagonista è Corto Maltese, che in questa avventura raggiunge
l'Argentina sulle tracce di una amica misteriosamente scomparsa. Nel
numero di ottobre 1985 della rivista Corto
Maltese, la quinta
puntata di Y todo a
media luz è
introdotta da un testo di Pratt stesso, dal titolo L'ultima
pista. Nel
sottotitolo si legge:
Nel
1902 parecchi fuorilegge nordamericani si rifugiarono in Patagonia.
Tra questi Butch Cassidy, ladro di bestiame e rapinatore di banche a
tempo perso, legato in un bizzarro ménage à trois a Sundance Kid e
Etta Place.
Poi
Pratt scrive:
Il
paesaggio è bellissimo. Maestoso. Oggi come ieri, e l'ieri che ci
interessa era un lontano giorno di maggio del 1901. In quella
stagione, al contrario del nostro emisfero boreale, laggiù in
Patagonia comincia l'autunno. Dall'alto di una collina tre individui
a cavallo guardavano i non lontani monti macchiati di neve del Cordon
Cholila. Qualche centinaio di metri da loro, giù per un dolce
declivio, c'era un boschetto di nogales e alti arbusti di calafates
che si ergevano sulla confluenza del Rio Blanco con un braccio
dell'Arroyo Nutria. Osservandoli bene si notava che non doveva essere
gente del luogo. Le loro selle erano di fattura messicana, assai
differenti dalle «monturas criollas» argentine fatte con pelli di
pecora. […] Uno di loro aveva gli occhi infossati stretti e
azzurri, la bocca sottile con una piega ironica, dei baffi color
sabbia e un mascellone ben squadrato; tutto sommato, ricordava un
grosso gatto soddisfatto. L'altro, forse un poco più alto, aveva il
volto dai lineamenti più regolari; il naso quasi greco, lo sguardo
freddo, come l'altro azzurro, la bocca ben modellata incorniciata da
una barba rossastra che aspettava da settimane il servizio di un buon
rasoio. Il terzo, più giovane, era di costituzione minuta ed
elegante; il volto dagli zigomi alti era molto bello, la bocca
carnosa, gli occhi grigi e il naso ben disegnati. Anche se indossava
abiti di taglio maschile, il terzo cavaliere era una giovane donna
[…] “Sono tre giorni che giriamo qui intorno e ci fermiamo sempre
in questo posto a guardarlo e riguardarlo in silenzio...”, disse
l'uomo con gli occhi infossati, “un motivo ci deve pur essere”.
La donna con un sospiro continuò ad alta voce il pensiero
dell'altro: “Hai ragione, Butch, il luogo ricorda abbastanza il
paese di Circleville sulla vecchia pista spagnola lassù nello Utah”.
[…] “Bene!”, la voce dalla strascicata pronuncia del Sud del
cavaliere dallo sguardo freddo ruppe il silenzio che si era creato.
“Allora questo sarà il posto dove costruiremo la casa”.
Dopo
aver ricostruito l'arrivo dei banditi in Argentina, Pratt rivela che:
In
occasione di quel viaggio, era il giugno del 1951, non sapevo niente
dei fuorilegge yankees che avevano vissuto e imperversato nel
territorio del Chubut andino […] Fu molto più tardi, leggendo In
Patagonia di
Chatwin, che mi resi conto di come ero stato vicino a quell'ultima
pista. E allora sono ritornato negli antichi luoghi per verificare di
persona tutto quello che avevo trascurato nella mia ebetudine
giovanile. […] Ora il materiale che siamo riusciti a recuperare
farebbe invidia all'Agenzia Pinkerton.
Questo
materiale è confluito nell'avventura argentina di Corto Maltese e,
infatti, nell'ottava puntata del fumetto (Corto
Maltese, gennaio
1986), Corto ritrova Butch a Buenos Aires. L'americano lo salva da un
killer che lo voleva uccidere e poi rievoca il loro precedente
incontro:
Eri
un ragazzo quando ti vidi l'ultima volta laggiù in Patagonia. Sono
passati parecchi anni da allora... molte cose sono cambiate...
Hugo
Pratt fa spesso incontrare Corto Maltese con personaggi storici, per
esempio in avventure come La
casa dorata di Samarcanda
o La giovinezza (in
cui il protagonista fa amicizia, tra gli altri, con Jack London).
Insieme
con
un altro disegnatore, Lele Vianello (con il quale aveva compiuto il
secondo viaggio in Patagonia), Pratt ha
scritto anche una guida di Venezia, Corto
Sconto,
in cui i luoghi sono descritti mescolando i fatti storici agli
avvenimenti della vita di Corto Maltese.
Il
personaggio di cui un autore/viaggiatore ricalca i passi può anche
essere un altro scrittore, e allora il viaggio si svolgerà sulle
orme di quanto raccontato in un libro precedente, che diventa una
guida. Chatwin dichiara apertamente di averne avuta una, La
via per l'Oxiana di
Robert Byron.
Questi viaggiò fra l'agosto del 1933 e il luglio del
1934 in Medio Oriente, Afghanistan e Iran, luoghi nei quali Chatwin
andrà negli anni Sessanta e Settanta (come è documentato in due
libri che raccolgono le sue fotografie, L'occhio
assoluto e Sentieri
tortuosi). La
via per l'Oxiana è
stato ripubblicato con una introduzione scritta da Chatwin nel 1980,
nella quale egli stesso svela la sua mania:
Io
scrivo da partigiano, non da critico. Da molto tempo ho elevato
questo libro al grado di «testo sacro», e quindi al di là di ogni
critica. La mia copia personale – ormai priva della rilegatura e
tutta macchiata dopo quattro viaggi in Asia centrale – mi
accompagna da quando avevo quindici anni. […] A volte incontravamo
viaggiatori più intellettuali di noi che seguivano le orme di
Alessandro o di Marco Polo; per noi era molto più divertente seguire
quelle di Robert Byron. Conservo certi taccuini che dimostrano con
quale ossequio servile io ricalcassi il suo itinerario e – come se
fosse possibile – il suo stile. Prendete, per esempio, questi miei
appunti del 5 luglio 1962 [Chatwin
aveva allora 22 anni] e
confrontateli con i suoi del 21 settembre 1933:
«Nel
pomeriggio siamo andati a trovare il signor Alouf, l'antiquario. Ci
ha fatto entrare in un appartamento pieno di mobili “francesi”
trattati con gommalacca, quasi tutti crivellati dai tarli e rivoltati
sottosopra. […] Da un armadio ha tirato fuori quanto segue: Un
pettorale romano, d'oro, con patacche azzurre incastonate. Falso. Un
idolo neolitico, di marmo, col fallo eretto, sul relativo
piedistallo. Il piedistallo era autentico, l'idolo no. Trenta bambole
funerarie siro-fenicie in osso. Una figura “ittita”, pullulante
di attributi d'oro, forse quella che Byron vide nel 1933. Falsa. Un
assortimento di inquietanti oggetti d'oro. Una collezione di vetri
paleocristiani (autentici). […] Infine, una testa di marmo di
Alessandro Magno. “Per questo pezzo ho rifiutato ventimila dollari.
VENTIMILA DOLLARI! Tutti gli archeologi dichiarano che la mia è
l'unica testa autentica di Alessandro. Guardi il collo! Le
orecchie!”. Forse – ma della faccia non era rimasto niente».
Byron
aveva raccontato così il suo incontro, avvenuto a Damasco, con la
stessa persona:
L'albergo
appartiene al signor Alouf; all'ultimo piano abitano i suoi figli.
Una sera ci ha condotti in una cantina priva d'aria, dove c'erano
delle vetrine allineate lungo le pareti e una cassaforte. Ne ha preso
i seguenti oggetti: una coppia di grosse coppe d'argento,
stampigliate di simboli cristiani, e un dipinto dell'Annunciazione;
un documento scritto su un pezzo di stoffa color del fango, lungo
poco più di un metro e largo quarantacinque centimetri circa, che
dovrebbe essere il testamento di Abu Bakr, il primo califfo, e a
quanto si dice sarebbe stato portato da Medina dalla famiglia di re
Hussein nel 1925; una bottiglietta bizantina di vetro turchino,
intatta, alta una ventina di centimetri e sottile come un guscio
d'uovo; una testina ellenistica d'oro, con le labbra socchiuse, gli
occhi di vetro e sopraccigli di un azzurro vivace; infine, una
statuetta d'argento alta ventiquattro centimetri, che in mancanza di
altri termini di paragone il signor Alouf ha definito ittita. Se è
autentica, dev'essere una delle più notevoli scoperte degli ultimi
anni in Medio Oriente. […]
Se
il viaggio, per scrittori come Chatwin, è essenzialmente incontro
con persone, e sono queste che nel racconto vengono descritte e messe
in evidenza, che ruolo ha il viaggiatore? La prima impressione è che
questi rimanga in disparte e si limiti a registrare storie e
conversazioni, al contrario di quanto avveniva nel romanzo
ottocentesco d'esplorazione e d'avventura, nel quale spesso narratore
e protagonista coincidevano. Questa assenza suggerisce uno stile di
viaggio e di scrittura aperto all'ascolto e all'osservazione, senza
ossessioni di protagonismo, ma va anche ricordato che il ruolo di
Chatwin non è passivo, perché le conversazioni devono essere
stimolate e le storie “tirate fuori” a chi le conosce. Prima
ancora, le persone vanno incontrate, a casa loro bisogna andarci,
bisogna muoversi.
Lo
scrittore/ascoltatore, comunque, non rinuncia completamente a esporre
i suoi pensieri. Li inserisce nei dialoghi, sotto forma di domande,
come fa, per esempio in Le Vie dei Canti nel capitolo dedicato
all'incontro con Konrad Lorenz;
oppure le fa emergere nelle
conversazioni, come accade, sempre nello stesso libro, in questo
scambio capitolo 25):
«La
rinuncia» dissi «può essere una soluzione anche di questi tempi».
«Forse
hai ragione» disse Arkady. «Se il mondo ha un futuro, è un futuro
ascetico».
Le
persone incontrate da Chatwin quasi esauriscono la gamma di varietà
del genere umano. Si va dalle più note a quelle apparentemente senza
importanza. Lo scrittore sa fare anche di queste ultime dei
personaggi e, così, avere l'occasione di parlare indirettamente di
sé. Scelgo un esempio da un capitolo di Le Vie dei Canti,
intitolato Dai taccuini; è un episodio avvenuto a Nouakchott,
in Mauritania:
Ai
margini della città tre ragazzini smisero di tirar calci al pallone
per corrermi incontro. Il più piccolo, invece di chiedermi soldi o
l'indirizzo, intavolò una conversazione molto seria. Qual era la mia
opinione sulla guerra nel Biafra? Quali erano le cause del conflitto
arabo-israeliano? Che cosa pensavo della persecuzione hitleriana
degli ebrei? Dei monumenti dei faraoni egiziani? Dell'antico impero
almoravide?
«Ma
tu» gli domandai «chi sei?»
Mi
fece un rigido saluto militare.
«Sall
Zakaria sall'Muhammad» trillò con squillante voce di soprano.
«Figlio del Ministro dell'Interno!».
«E
quanti anni hai?».
«Otto».
Il
mattino dopo arrivò una jeep per portarmi dal Ministro.
«Mi
risulta, cher Monsieur, che lei ha conosciuto mio figlio. Una
conversazione molto interessante, mi ha detto. Da parte mia vorrei
invitarla a cena da noi, e sapere se posso in qualche modo esserle
d'aiuto».
Ci
sono anche passaggi in cui Chatwin, dopo aver raccontato un
avvenimento della vita di personaggi leggendari, riferisce con
noncuranza un episodio capitato a lui stesso, simile nella sostanza
al primo. Così avviene, per esempio, nel capitolo 29 di In
Patagonia, in cui parla di Wilson e Evans, nomi sotto i quali
forse si celarono Butch Cassidy e Sundance Kid:
Nel
dicembre del 1911 Wilson e Evans scesero a Rio Pico per rifornirsi di
provviste nel negozio di due fratelli tedeschi di nome Hahn. […]
Wilson aveva una mano gonfia per un'infezione. Una cartuccia, che
stava riempiendo di polvere, era esplosa. Donna Guillermina Hahn gli
aveva medicato la ferita e i due erano tornati al loro rifugio in
montagna.
[…]
Sulla via del ritorno a Las Pampas, mentre a piccolo galoppo deviavo
bruscamente per scansare dei rami bassi che attraversavano la pista,
mi si ruppe la cinghia della sella e caddi da cavallo sulle aguzze
rocce del terreno. […] Avevo una mano ferita fino all'osso e
scendemmo a Rio Pico per farla medicare.
Dopo
essere stato da una dottoressa, lo scrittore va a cercare i
discendenti degli Hahn e si ritrova a parlare con loro nella cucina
in cui Wilson era stato medicato. Sta in questo modo sovrapponendo le
proprie avventure a quelle dei personaggi leggendari? Lo fa soltanto
per ironizzare su stesso, sminuendosi nel confronto, o per rendere
leggendari anche i propri viaggi e, di conseguenza, il proprio
personaggio?
Vagabondando
fra libri pieni di incontri, ne possono capitare di un altro
piacevole genere. Una ventina di anni fa, in Messico, curiosando nel
negozio di un rigattiere di Real de Catorce, scoprii l'esistenza dei
francobolli creati da un pittore di nome Donald Evans. Ne acquistai
una riproduzione che conteneva anche una nota biografica, breve ma
sufficiente per delineare un personaggio molto interessante. Qualche
mese dopo lessi per la prima volta un altro libro di Chatwin, Che
ci faccio qui?, e con grande sorpresa ci trovai un capitolo
dedicato alla vita di Donald Evans. Il libro è costruito interamente
su ritratti di persone incontrate dall'autore, ed è diviso in
sezioni chiamate Amici, Persone, Incontri,
Strani incontri, Altre due persone e così via. Il
titolo è tratto da una lettera di Arthur Rimbaud, scritta
dall'Etiopia, e compariva già, come frammento, nel capitolo Dai
taccuini di Le Vie dei
Canti; capitolo, va detto, che
costituisce un esempio di una tecnica di scrittura, ma anche di
viaggio, che Chatwin utilizza spesso, e che consiste nell'alternare
la narrazione degli avvenimenti (nel viaggio, gli spostamenti) con
l'esposizione di appunti presi durante precedenti viaggi (nel
viaggio, fermarsi a scrivere, riordinare i taccuini o leggere
materiali sui luoghi attraversati).
Rimbaud
è un autore che Chatwin cita più volte; le lettere che scrisse ai
familiari fra il 1880 e il 1891 contraddicono lo stereotipo
dell'esploratore avventuroso e entusiasta; il 22 settembre 1880, per
esempio, da Aden, sulla costa yemenita, Rimbaud scrive:
Aden
è, lo riconoscono tutti, il posto più noioso della terra, tuttavia
subito dopo quello abitato da voi [i familiari vivono a
Charleville, nelle Ardenne, una città che dieci anni prima Arthur,
sedicenne, aveva descritto come “superlativamente idiota fra tutte
le cittadine di provincia”].
Da
Harar, in Etiopia, il 15 febbraio 1881, spiega:
Non
ho trovato quel che presumevo; vivo in modo assai noioso, e senza
profitti.
Nuovamente
da Aden, il 5 maggio 1884, aggiunge:
Che
esistenza desolante la mia, in questi climi assurdi e in queste
condizioni insensate!
Infine,
da Harar, il 4 agosto 1888, conclude:
Mi
annoio molto, sempre; anzi, non ho mai conosciuto nessuno che si
annoi quanto me.
Anche
Chatwin rifiuta per sé il cliché dell'esploratore temerario;
in Le Vie dei Canti, conclude così il capitolo 32:
Nel
torrente c'era un rigagnolo, e sulle sponde crescevano dei cespugli.
Mi buttai un po' d'acqua in faccia e proseguii. Avevo alzato la gamba
destra per fare un passo quando dissi tra me e me: «Sto per pestare
qualcosa che sembra una pigna verde». Quello che non avevo ancora
visto era la testa del serpente mulga che si rizzava dietro un
cespuglio, pronta a scattare. Mossi la gamba al contrario e pian
piano indietreggiai... uno... due... uno... due. Anche il serpente
batté in ritirata, e sparì in un buco. «Però, come sono calmo»
mi dissi, finché sentii arrivare la nausea.
All'una
e mezza ero di nuovo a Cullen.
Rolf
mi squadrò e disse: «Hai proprio l'aria distrutta, caro mio».
Avevamo
iniziato la divagazione chiedendoci perché Chatwin fosse partito per
la Patagonia. Ora vorrei allargare la domanda e chiedere perché
alcuni scrittori, e anche altre persone, partano alla volta di luoghi
in qualche modo connessi a lontani ricordi giovanili. La risposta la
prendo dallo Zibaldone di Giacomo Leopardi, per la precisione
dall'appunto del 16 gennaio 1821:
Da
fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono, un
racconto, una descrizione, una favola, un'immagine poetica, un sogno,
ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e
infinito: […] ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno,
illusione, ecc. di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce e
ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti.
[…] Osservate che forse la massima parte delle immagini e
sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e
nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della
fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono
come un influsso e una conseguenza di lei; […] vale a dire,
proviamo quella tal sensazione, idea, piacere, ecc., perché ci
ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione
immagine ecc. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle
stesse circostanze. […] (Così io, nel rivedere quelle stampe
piaciutemi vagamente da fanciullo, quei luoghi, spettacoli, incontri
ecc. nel ripensare a quei racconti, favole, letture, sogni ecc. nel
risentire quelle cantilene udite nella fanciullezza o nella prima
gioventù ecc.) In maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali
quali siamo ora, saremmo privi della massima parte di quelle poche
sensazioni indefinite che ci restano, giacché le proviamo se non
rispetto e in virtù della fanciullezza.
Il presente testo è stato presentato il 9 novembre 2017 al corso di Geoletteratura organizzato dall'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, presso il Liceo Avogadro di Torino.
Il presente testo è stato presentato il 9 novembre 2017 al corso di Geoletteratura organizzato dall'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, presso il Liceo Avogadro di Torino.
Particolarmente interessante e molti docenti ne hanno tratto e ne trarranno ispirazione in classe
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