lunedì 25 marzo 2024

Pavese a Brancaleone

 

Il 15 maggio 1935, Cesare Pavese fu arrestato a Torino insieme con altri intellettuali antifascisti del movimento Giustizia e Libertà. Condannato a tre anni di confino in Calabria, lo scrittore piemontese scese alla stazione di Brancaleone il 4 agosto.

I primi giorni li trascorse all'albergo Roma, a poche decine di metri dalla stazione.

Una targa accanto alla porta ricorda che occupò una delle stanze al primo piano.


Il bar Roma di Brancaleone fotografato da Mario Dondero negli anni Sessanta

L'albergo è chiuso da tempo. Le porte serrate accentuano la sensazione di lontananza nel tempo degli avvenimenti che sono venuto a ricostruire. Penso alla distanza che mi separa dal periodo in cui lessi per la prima volta i libri di Pavese: trenta-trentacinque anni, ma mi sembra più lontano, quasi come se fosse più vicino alle vicende dello scrittore che al presente. Forse perché nel mondo presente non ritrovo più quello dei miei vent'anni, mentre allora gli anni Trenta e Quaranta mi sembravano ancora vivi nella società e nella cultura in cui mi muovevo.

Mi commuovo ascoltando Carmine Verduci, che con i suoi colleghi della Pro Loco dimostra una profonda passione per la storia di Brancaleone e una notevole capacità organizzativa nel valorizzarla e farla conoscere. Non immaginavo che lontano dal Piemonte gli scritti di Pavese potessero suscitare sentimenti e progetti. Invece scopro che hanno addirittura spinto un mecenate locale, l'avvocato Tonino Tringali, a ristrutturare e aprire gratuitamente al pubblico la dimora in cui Pavese visse il periodo del confino, che così è diventata un piccolo museo circondato da un giardino che in estate ospita incontri culturali.



Sono gli spazi che lo scrittore descrisse alla sorella Maria in una lettera, il 19 agosto 1935: un cortiletto e il mare, in mezzo ai quali passa la ferrovia. Il passaggio dei treni, cinque o sei volte al giorno, rinnovava a Pavese la nostalgia. Uno scorcio di mare si può ancora vedere dal “basso” in cui alloggiava lo scrittore, pare perché sia stata vietata la costruzione in quel tratto di altri edifici.

La stanza di Pavese è stata riarredata con mobili del suo tempo, sulla base dei ricordi di un signore che nel 1936 era uno studente e veniva dal confinato a ripetizioni di latino e greco.



Qui Carmine Verduci mi racconta chi erano nella realtà i personaggi che compaiono ne Il carcere, il romanzo breve che lo scrittore, nel 1939, compose a partire dall'esperienza del confino. L'unica persona a cui non venne cambiato il nome fu Concetta Delfino, che viveva in uno dei palazzi vicini e ispirò il personaggio di Concia.

Brancaleone è uno di quei paesi che venivano scelti dal regime fascista come luoghi di confino e isolamento, dove mandarci per punizione gli oppositori, e nello stesso tempo da artisti e viaggiatori come luoghi di ispirazione. In alcuni casi, come per Pavese o per Carlo Levi e Altiero Spinelli, diventarono luoghi di ispirazione anche per i confinati.

Nella dimora di Pavese è esposta una copia della dichiarazione rilasciata dall'ufficiale sanitario di Brancaleone il 20 febbraio 1936: il dottor Romano Gustavo certifica «di aver visitato il Professore in lettere Pavese Cesare, confinato politico e residente in questo Comune, e di averlo trovato affetto da asma bronchiale». A suo parere, «le continue preoccupazioni e i disagi morali cui va incontro il Pavese per le sue condizioni di confinato politico, accrescono ed acuiscono maggiormente la sua malattia»; ne conclude che «per migliorare abbia bisogno del ritorno alla tranquillità di animo soprattutto e possibilmente vicino al paese natio».

A Brancaleone, Pavese scrisse anche alcune poesie che poi confluirono nella raccolta Lavorare stanca, però la sua opera che ho in mente mentre ascolto Carmine è Il mestiere di vivere, lo zibaldone che qui iniziò a tenere il 6 ottobre 1935, proprio con una riflessione sulle sue ultime poesie. Il mestiere di vivere mi ha accompagnato in molte notti degli anni universitari: ci trovavo l'impegno di un uomo che si sforzava di conoscere se stesso, scontrandosi con i propri fallimenti e con l'immagine ideale di sé a cui tendeva. Mi chiedevo quanto di quell'immagine rimane in noi, nonostante le esperienze, a offuscare un'analisi realistica di sé. Il 10 novembre 1935, Pavese annota: «Se figura c'è nelle mie poesie, è la figura dello scappato di casa che ritorna con gioia al paesello, dopo averne passate d'ogni colore e tutte pittoresche, pochissima voglia di lavorare, molto godendo di semplicissime cose, sempre largo e bonario e reciso nei suoi giudizi, incapace di soffrire a fondo, contento di seguir la natura e godere una donna, ma anche contento di sentirsi solo e disimpegnato pronto ogni mattina a ricominciare: i Mari del Sud insomma». Fu per brani come questo che Pavese e i suoi personaggi diventarono, per me, figure duplici: dei simili, perché in parte mi riconoscevo nelle sue descrizioni, e dei modelli, per assomigliare ai quali avrei dovuto modificare qualcosa di me. Per la fretta di raggiungere i modelli, però, mi sono spesso convinto di essere già cambiato a sufficienza, anche se non era così.

Usciti dalla dimora di Pavese, Carmine ed io incontriamo in strada un signore che è il figlio di Oreste Politi, un notabile di Brancaleone con cui il confinato strinse amicizia e su cui basò il personaggio di Giannino Catalano de Il carcere. Grazie al legame con Politi, Pavese ottenne dal maresciallo del paese una certa libertà, per cui poteva anche recarsi a Bovalino, a più di venti chilometri di distanza, dove conobbe e frequentò Mario La Cava, suo coetaneo e anch'egli scrittore. Il signor Politi ci spiega che fu un trattamento eccezionale, «perché qui a quel tempo erano tutti fascisti, tranne pochi, come il dottor De Angelis che era socialista».

Lasciato il signor Politi, saluto Carmine, che mi consiglia di salire ancora alla parte antica del paese, a tre chilometri dalla Marina. Anticamente Brancaleone Superiore si chiamava Sperlinga, o Sperlonga, per le grotte di cui è ricco. Già nel 1783, in seguito a un terremoto, alcune famiglie lo lasciarono per trasferirsi nell'attuale Brancaleone Marina; un nuovo esodo ci fu dopo il terremoto del 1908 e l'abbandono si completò negli anni Cinquanta. Oggi le sue case diroccate fanno parte di un parco archeologico, dove si possono visitare alcune grotte abitate in epoca medievale da monaci basiliani, provenienti dall'Armenia e dalla Cappadocia. La più interessante è la grotta-chiesa detta “dell'albero della vita”, dalla presenza di un pilastro centrale. Intorno ci sono rocce scavate da ampie cavità ovoidali e stratificazioni di antichi fondali marini: sono le «rocce rosse lunari» di cui Pavese scrive, la sera del 10 ottobre 1935, nel suo zibaldone.










Per vedere la Brancaleone dei tempi di Pavese, si può guardare in Rete uno splendido cortometraggio, Il confino di Cesare Pavese, realizzato nel 1967 dal regista Giuseppe Taffarel, con testo di Davide Lajolo, fotografia di Giovanni Raffaldi e musica di Franco Potenza:

https://www.youtube.com/watch?v=wZxYi6xwvR0