1943-45:
alcuni giovani di Castiglione d'Orcia (SI), fra i quali Giorgio Formichi, sfuggono avventurosamente all'esercito della Repubblica di
Salò e si uniscono ai partigiani giellisti della Brigata Maira.
Opereranno nella zona di Dronero (CN) fino alla Liberazione.
1970:
i partigiani della Brigata Maira costruisco a S. Margherita di
Dronero un rifugio intitolato al loro comandante Detto Dalmastro.
Negli anni successivi, un gruppo di giovani della sezione ANPI di
Formia (LT) inizia a frequentare il rifugio, così come i partigiani
della val d'Orcia e i loro familiari.
1987:
si sancisce ufficialmente il gemellaggio fra il Rifugio della
Margherita e la sezione ANPI di Castiglione d'Orcia.
2012-15:
ormai molti partigiani sono mancati, ma nel frattempo alla Margherita
è nata un'associazione che si propone di conservarne la memoria e di
infondere nuova vita al Rifugio, traducendo nella pratica i valori
della Resistenza e della Costituzione. Fra i primi obiettivi,
rivitalizzare il legame con gli amici di Castiglione e di Formia.
Questi ultimi tornano al Rifugio già nel 2012. Nel 2014 viene a
mancare Giorgio Formichi, e l'anno seguente i suoi nipoti (e
pronipoti) ritornano dopo lungo tempo alla Margherita, portando con
sé una lettera in ricordo di Giorgio scritta dal figlio Maurizio.
2016:
cinque soci dell'associazione degli amici del Rifugio si incamminano
sulla Via Francigena in direzione di Castiglione d'Orcia (dove
arrivano a piedi, partiti chi da Lucca e chi da Siena) e di Formia
(che raggiungono in treno da Roma, al termine della camminata).
Non
c'è retorica in questi incontri; nessuno partecipa per mettersi in
mostra in vista di una carriera politica. C'è la profonda
riconoscenza, mista a affetto e ammirazione, per i padri e i nonni
che hanno fatto la Resistenza. L'abbiamo sentita forte, una vampa nel
petto, alla fine di una cena durante la quale ci siamo scambiati
lunghi racconti. I padri e i nonni erano lì con noi, e nessuno si
sarebbe stupito se li avesse visti entrare nella stanza e sedersi, in
carne e ossa, al nostro tavolo.
Ma
non c'è solo memoria, in questi incontri, e neanche soltanto
amicizia. C'è la voglia di costruire insieme, la voglia di sentire
nel cuore, nella testa e nelle braccia quella cosa grazie alla quale
i padri e i nonni fecero quello che fecero: l'unità.
A
Formia, gli amici del posto ci portano a concludere nel modo migliore
il nostro pellegrinaggio: alle isole di Santo Stefano e Ventotene. A
Santo Stefano, i regimi che hanno oppresso l'Italia rinchiudevano chi
lottava per la libertà e per la giustizia: i liberali al tempo dei
Borboni, gli anarchici nell'età umbertina, i socialisti e i
comunisti durante il fascismo. Qui hanno sofferto uomini come Luigi
Settembrini, Gaetano Bresci e Sandro Pertini.
Altri antifascisti
vennero confinati a Ventotene, fra i quali Altiero Spinelli.
Quest'ultimo lo si definisce da anni un padre dell'Europa, e da
qualche mese si invoca il suo Manifesto per rinvigorire la
traballante Unione Europea.
Nel
Manifesto di Ventotene, però, non si parla di unità europea
con la vuota superficialità dei leader politici del nostro tempo. Ci
sono analisi e proposte, di cui oggi si tace, che andrebbero
urgentemente rilette, confrontate con la situazione politica e
economica attuale e discusse.
Innanzitutto,
nell'agosto 1941, Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni
spiegavano così quanto era avvenuto in Europa negli anni precedenti:
i
ceti privilegiati che avevano
consentito all'uguaglianza dei diritti politici non potevano
ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di
realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti
un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine
della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu
naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero
le instaurazioni delle dittature che
toglievano le armi legali di mano ai loro avversari. D'altra parte la
formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di
sindacati riunenti sotto un'unica direzione interi eserciti di
lavoratori, sindacati e complessi che premevano
sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro
particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in
tante baronie economiche in acerba lotta tra loro. Gli ordinamenti
democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si
valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano
sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione
che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare,
potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le
istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di
fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso
la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta
raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la
vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti,
ogni possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente.
Si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente
parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei
redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col
tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle
società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i
denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti
dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere
tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto
l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono
conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi
masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna
cultura. E' salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime
economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che
dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo
sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla
soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di
pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col
diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello
stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna
corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati,
e il campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che
per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una
qualsiasi possibilità d'impiego.
Colorni, Rossi e Spinelli proseguivano con proposte chiare e precise in campo
economico:
Un'Europa
libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della
civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La
fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il
processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali.
Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano
l'attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà
essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea,
per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista,
cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la
creazione per esse di condizioni più umane di vita.
Il
principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello
della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed
erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche
non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze
naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel
modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime.
Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall'interesse
individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica
"routinière" per trovarsi poi di fronte all'insolubile
problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le
differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere
dello stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno
sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed
estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed
impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli
argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità
per tutta la collettività. La proprietà privata deve essere
abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non
dogmaticamente in linea di principio.
Volendo
indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa
direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni
punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al
presupposto oramai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in
rilievo i seguenti punti:
A
non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo
un'attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di
sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie
elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni
di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi
protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l'esempio più
notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie
siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali
investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del
settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato
imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie
minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). E'
questo il campo in cui si dovrà procedere senz'altro a
nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i
diritti acquisiti;
B
le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà
e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani
di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante
una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti
parassitari e per dare ai lavoratori gl'istrumenti di produzione di
cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro
raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una
riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti
enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale
che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati,
con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio, ecc.;
C
i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre
al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la
vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la
possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi
superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà
preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento ai diversi
mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero
di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che
le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per
tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le
divergenze tra le rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a
seconda delle diverse capacità individuali;
D
la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei
generi di prima necessità con la tecnica moderna, permette ormai di
assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il
vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario
per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso
coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò
manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e
produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di
riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano
incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un
tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al
risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad
accettare contratti di lavoro iugulatori;
Questi
sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine,
un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e
per dare alla vita politica una consolidata impronta di
libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale.
Su queste basi le libertà politiche potranno veramente avere un
contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la
massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza
sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla
classe governante.
Infine,
le loro parole su una questione sociale rimasta irrisolta:
la
Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica
società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi,
fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua
ortodossia. Si presenta come naturale
alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca approfittare per
ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio,
per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e
sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il
Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro
abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato,
e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla
vita civile. Tutte le credenze
religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non
dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua
opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico.
A Ventotene ho ambientato il racconto Sognando l'evasione, inserito nell'antologia Sull'isola, edizione 2020 della collana Pagine in viaggio di Neos Edizioni.
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