domenica 27 febbraio 2022

La memoria storica, custodita o scomparsa?

 

Negli ultimi giorni di dicembre del 2021 ero a Malta. Visitando il museo archeologico della capitale Valletta, mi colpì una didascalia in cui si faceva riferimento a un archeologo che, ai primi del Novecento, aveva studiato per anni un sito: durante un viaggio in nave a Tunisi, tutti i suoi scritti andarono perduti e il suo lavoro vanificato. In quegli stessi giorni, in Russia, le autorità imponevano la chiusura di Memorial, l'associazione fondata nel 1989 da Andrej Sacharov. Sparisce così, e in molti altri modi, la memoria dei fatti storici. Per un incidente o per la volontà di regimi autoritari intenzionati a riscrivere il passato.

A due mesi di distanza, ho visitato Casoli, in provincia di Chieti. Nell'aprile del 1940, il governo fascista scelse la cittadina per internarvi un certo numero di “ebrei stranieri”. Come molte altre località abruzzesi, Casoli divenne la sede di un campo di concentramento, in cui in seguito, nel 1942, vennero internati gli “ex jugoslavi”, ovvero dei civili trasferiti per motivi politici dalle zone occupate dall'esercito italiano nei Balcani. Qui i fatti storici sono stati studiati e documentati, e si è lavorato per custodirne la memoria (come è avvenuto a Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo). Nel 2018 il Comune di Casoli ha intitolato “alla Memoria” una piazza, dove ha posto una targa che riporta i nomi dei 108 ebrei e dei 110 "ex jugoslavi” internati nella cittadina.

Il 27 gennaio scorso è stato inaugurato un monumento alla memoria degli internati, realizzato su un lato della piazza: una superficie di mattoni posati con una rotazione rispetto al muro che contiene 108 incisioni verticali e, più in alto, un'altra superficie di mattoni posati con diversa rotazione, contenente 110 incisioni.



Così come a Casoli, a pochi chilometri di distanza, a Torricella Peligna, la toponomastica e le lapidi ricordano i partigiani della Brigata Maiella e il loro comandante Ettore Troilo.



La memoria storica è al sicuro? Temo di no. Come le lapidi e i mattoni, può scomparire. Basterebbe l'avvento di un governo neofascista, forse anche solo di un'amministrazione comunale decisa a smantellarla. Il prezioso lavoro degli storici e degli amministratori che lo sostengono va perciò custodito e difeso da noi cittadini, con il desiderio di conoscenza della verità storica e il rifiuto di ogni sua manipolazione e cancellazione.

mercoledì 16 febbraio 2022

Per necropoli dalla Sicilia alla Tuscia

 

Hisn al-Giran è un'espressione araba che letteralmente significa “la fortezza delle grotte” e si riferisce a una tipologia di villaggi rupestri berberi, ancora frequenti in alcune zone del Nordafrica e situati in luoghi impervi. Il cronista arabo Ibn al-Athīr, riferisce che nell’anno 841 una Hisn al-Giran situata nel territorio di Enna, costituita da una quarantina di ambienti, venne saccheggiata in occasione di una gualdana musulmana. Nato sulle rive del Tigri e vissuto fra il XII e il XIII secolo, Ibn al-Athīr fu storico e biografo, autore de Il libro perfetto sulla storia, un compendio in forma annalistica della storia universale dalla creazione ai tempi dell'autore; la parte che riguarda la Sicilia e la Spagna fu tradotta in francese da Fagnan alla fine dell'Ottocento. L'episodio della Hisn al-Giran ennese venne ripreso dall’arabista palermitano Michele Amari nella sua Storia dei Musulmani di Sicilia pubblicata fra il 1854 e il 1872. Negli stessi anni Amari si impegnò nella vita politica italiana, prima come diffusore delle idee mazziniane, poi come ministro di Garibaldi nella Sicilia del 1860 e infine come ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia dal 1862 al 1864. Razionalista e positivista, sostenne la laicità dello Stato e l'importanza delle virtù civili.

Calascibetta

Nel 2011 Hisn al-Giran è stata scelta come nome dell'associazione culturale fondata a Calascibetta, a un paio di chilometri da Enna, da un gruppo di giovani laureati, liberi professionisti e studenti universitari. L'espressione si adatta bene, infatti, al Villaggio Bizantino di Vallone Canalotto, un luogo che per tipologia di insediamento e di ambienti rilevati dagli archeologi ricorda quello citato da Ibn al-Athīr.


Il sito è curato dall'associazione, che propone una densa escursione con l'archeologo Gianluca Rosso, guida ambientale escursionistica: un'esplorazione storica, antropologica e naturalistica. Si tratta di un luogo che riassume millenni di presenza umana: dapprima vennero scavati i siti funerari preistorici, man mano allargati dai fruitori successivi, greci, romani, bizantini e arabi (di cui si può ammirare un qanat, capolavoro di ingegneria idraulica, ancora in funzione). Per secoli, poi, sono stati i pastori a sfruttare le grotte che un tempo erano state necropoli e chiese. Il nucleo principale è stato utilizzato da una comunità fino agli anni Sessanta del secolo scorso, l'antica chiesa è stata abitata da una famiglia fino agli anni Ottanta. I barbagianni e gli allocchi ci vivono ancora.


Nella Tuscia, l'altopiano tufaceo è attraversato da solchi profondissimi scavati dai fiumi. Qui gli etruschi scavarono e modellarono le ripide scarpate per realizzare i loro imponenti monumenti sepolcrali. Anche qui i vani delle necropoli e delle sepolture sono stati nei secoli riutilizzati, almeno nei luoghi più accessibili. Quelli più impervi sono stati riscoperti dal fervore archeologico internazionale un secolo fa. A Norchia, una magnifica necropoli etrusca che attirava i viaggiatori europei sta nuovamente sparendo, abbandonata all'incuria umana e al vigore della natura.

Trovarla è già una caccia al tesoro, gratificante per chi ama questo genere di giochi ma che di certo non favorisce l'arrivo di visitatori. A partire da Vetralla ci si può affidare alle indicazioni delle bariste e dei loro disponibili clienti. Lungo il tragitto (sulla SS 1 bis, ovvero l'Aurelia bis), un paio di cartelli illudono il viaggiatore, ma la strada asfaltata a cui guidano termina in uno spiazzo dove si trovano rifiuti abbandonati invece che indicazioni. A questo punto, si dubita di aver sbagliato strada. A me è andata bene, perché sono arrivati proprio in quel momento tre visitatori esperti del luogo, dai quali ho saputo che si deve puntare verso un rudere che si scorge in lontananza, camminando su una stradina sterrata che conduce all'ingresso della necropoli (dotato di pannello informativo).

Da quel punto, si possono seguire le tacche bianche e rosse di un sentiero, che attraversa la necropoli e scende a un fosso dal quale si possono ammirare la grandiosità dell'opera etrusca, degna di un sito precolombiano dello Yucatan, ma anche constatare l'avanzata della vegetazione che la sta ricoprendo.

Il sentiero risale sulla sponda opposta e conduce a un'altura tra i fiumi Pile e Biedano, dove si trovano i ruderi medievali di un castello (quelli che danno la direzione all'inizio dell'esplorazione) e i resti della chiesa di San Pietro, risalente al dodicesimo secolo. Di quest'ultima resta in piedi parte dell'abside, a cui si accede da un'apertura sagomata sulla forma umana.


Oltre alle pareti e alla facciata, è crollato anche il pavimento, per cui ci si ritrova nella cripta, che ora costituisce con l'abside un unico fondale. A qualche decina di metri, si incontra una quercia che in passato avrà garantito ombra e riparo ai frequentatori della chiesa.


A poche decine di chilometri di distanza da Norchia in direzione est, sempre sulla riva del Biedano, su un'altra lingua di terra che termina a testa di vipera, elevata rispetto ai corsi d'acqua che la lambiscono, sorge Barbarano Romano. Anche in questa località si trova un'importante necropoli etrusca, quella di San Giuliano. Il visitatore incontra un diverso approccio ai beni ambientali e culturali: già negli anni Ottanta l'Amministrazione comunale si adoperò affinché venissero tutelati attraverso la creazione del Parco Regionale Marturanum, dal nome dell'antica città edificata nella zona. L'attuale sindaco Rinaldo Marchesi, poi, sta ottenendo consistenti fondi che vengono convogliati verso il patrimonio culturale del paese. Ogni mattina sono aperti il centro visite del Parco, presso il Museo Naturalistico "Francesco Spallone", e il Museo delle Necropoli Rupestri (il secondo grazie alla presenza delle volontarie dell'Associazione Barbarano Cultura). Sono entrambi ottime introduzioni all'esplorazione della zona e forniscono una buona carta dei sentieri.

Le tombe più antiche risalgono al periodo orientalizzante della storia etrusca (VII secolo a.C.), precedenti quindi quelle di Norchia, che appartengono al periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.). Del VI secolo a.C. sono le tombe definite “palazzine” e quelle “a portico”.


La tomba più rappresentativa è quella del Cervo, così chiamata perché al suo esterno è visibile un bassorilievo che raffigura una scena di lotta tra un cerco e un lupo. 

Un intervento di recupero svolto nel 2015 dal Parco Regionale Marturanum (che ha adottato il bassorilievo come simbolo) permette di apprezzare pienamente la struttura “a dado” visibile anche a Norchia: il tufo viene scavato dall'alto, in modo che la tomba risulti staccata dalla parete per tre lati (mentre il quarto, la facciata, è ricavato dalla parete della scarpata). Una tecnica che si avvicina quella delle chiese etiopi di Lalibela.


Anche a San Giuliano si trova una chiesa medievale, omonima, coeva del San Pietro di Norchia.

Nell'area archeologica, tra Barbarano e Caiolo, si sviluppano 14 sentieri ben segnalati. Per visitare tutti i punti di interesse, si possono percorrere in quest'ordine, partendo dall'area attrezzata di Caiolo: 12-10-9-11-8-6-4-67-9-13-14.