L'esplorazione
delle regioni che furono parte dell'impero absburgico mi ha portato quest'anno in Galizia, acquisita dall'imperatrice Maria Teresa nel
1772 con la prima spartizione della Polonia. Oggi è divisa fra
Polonia e Ucraina. Ebbe come capitale Leopoli, che, come tutte le
città di questa parte dell'Europa centro-orientale, ora ha un altro
nome: Lviv. Anzi, più di uno, perché polacchi e russi la chiamano
Lvov.
“Qui
hanno vissuto uomini di talento e di genio, che hanno popolato la
città di forme sorprendenti scaturite dalla loro fantasia”,
scrive Yuriy Nykolychyn (potete acquistare il suo Lviv presso
la libreria che si trova nella via Shevska; la preziosa guida di
Ruben Atoyan, invece, è in vendita nella libreria della via
Teatralna, all'incrocio con la Staroyevreiska – la “vecchia via
ebraica”).
“Poiché
ogni edificio qui è impregnato di una idea umana elevata, la sua
sola visione fa lavorare il cervello del passante in modo più
intenso; dopo qualche ora a passeggio fra le vie di Lviv si comincia
ad essere consapevoli delle capacità umane”. Incamminiamoci,
dunque, e ricordiamoci di “ringraziare coloro che hanno
manifestato la forza del loro spirito allo scopo di elevare la vita
delle persone al di sopra della soddisfazione dei bisogni
fisiologici”. Non viaggio nelle terre un tempo absburgiche per
un nostalgico desiderio di un mondo passato, ma perché in queste
città vissero persone intelligenti e sensibili, le cui creazioni –
artistiche, culturali, politiche – possono risuonare in noi e
renderci persone migliori.
Forse
era questa una delle intenzioni degli architetti e degli artisti che,
dal Rinascimento alla Secessione, hanno disseminato statue e
bassorilievi sugli edifici del centro storico di Lviv. La città fu
fondata alla metà del XIII secolo dal principe Danylo Halytskyi e
dedicata al figlio Lev, perciò il leone è il suo simbolo e numerosi
sono i leoni in pietra che si incontrano. Quello che si trova nella
via Ruska 4 tiene in bocca un grappolo d'uva, e si dice che sorvegli
gli osti affinché non truffino i clienti. Ride, e si dice che sia
ubriaco, quello che si trova nella piazza Kathedralna 2. Al numero 14
di piazza Rynok, c'è un leone di San Marco: è sulla facciata del
rinascimentale palazzo dove nel XVI secolo risiedevano i mercanti
veneziani.
Palazzo
Gecner, piazza Rynok 28: una serie di bassorilievi - a beneficio del
passante che voglia percorrere la via della saggezza - illustra
massime filosofiche tratte dalle Lettere a Lucilio di Seneca.
Spesso si incontrano le divinità della mitologia classica: Venere e
Marte, Amore e Psiche al 4 della via Krakivska, Crono al 20 della
Virmenska (la via degli Armeni), Mercurio (che protegge
l'ottocentesco palazzo delle ferrovie). I busti dei personaggi che
hanno dato vita alla letteratura polacca classica si trovano al 9
della via Teatralna, al termine della quale si apre la piazza
dedicata al più famoso del gruppo, Mickiewicz. Su di essa si
affaccia l'Hotel George, che accoglie i viaggiatori provenienti da
ogni continente con le sculture allegoriche di Europa, Asia, Africa e
America (e con un bassorilievo raffigurante san Giorgio). Nella via
dedicata a Les Kurbas, i bassorilievi delle maschere teatrali ci
indicano il luogo in cui – secondo Nykolychyn - “il teatro
aiuta a vivere, a resistere al grigiore della vita, e incita
all'amore”. Lo stesso effetto produce la via Akademika
Bohomoltsia, dove si concentrano i migliori edifici in stile Art
Nouveau della città. Il monumento posto al centro di una piazzetta
della via Pidvalna è dedicato a Ivan Fedorovych, il primo tipografo
ucraino, che oggi invita i passanti al mercatino dei libri usati.
Fedorovych
è uno dei molti “ponti” che ho incontrato durante questo
viaggio. Chiamo così i personaggi che hanno reso culturalmente più
ricco il passaggio da una città all'altra, anticipandolo o
completandolo. Per esempio, a Lviv lo storico tipografo pubblicò nel 1574 gli Atti degli Apostoli, primo libro in lingua ucraina,
un esemplare del quale vedrò tre giorni dopo nel museo del libro di Kiev.
Fin
dal primo giorno di viaggio sono stato accompagnato dai “ponti”,
i quali talvolta non si presentano subito come tali, forse per
lasciarmi il successivo piacere del collegamento inaspettato. Per
citane qualcuno: a Venezia ho “incontrato” Max Ernst alla
Fondazione Peggy Guggenheim e l'ho ritrovato a Krakow in una mostra; a Vienna è Schiele il “ponte” rispetto a precedenti viaggi - come del resto
Freud, Moser, Hundertwasser e altri - mentre Rilke e Lou von Salomé
- “presenti” in due diversi musei - mi ricordano che quando a
Kiev andrò ai monasteri delle grotte lo farò sulle loro orme; sempre a Vienna, la casa di Wittgenstein mi
riporta alla lettura di Danubio di Magris, e c'è una mostra dedicata a Kiesler, la cui città natale è Chernivtsi, una delle mie
mete in Ucraina; a Krakow, una delle opere di Max Ernst (uno dei
surrealisti per cui Kiesler studiò l'allestimento di una esposizione)
appartiene a Peter Shamoni, l'autore del film su Hundertwasser appena
visto a Vienna (come il Trittico del Giudizio di Bosch, da cui
forse Ernst ha preso spunto).
Questi
innumerevoli ponti, come nella biblioteca de Il nome della rosa,
finiscono per formare un labirinto; in una sala del Museo etnografico
di Krakow, una didascalia cita Cszeslaw Milosz: “Un labirinto.
Costruito ogni giorno con le parole, i suoni della musica, le
pennellate dei dipinti, le sculture e le forme dell'architettura.
Così antico e affascinante da visitare che chiunque vi entri, non ha
più bisogno del mondo esterno; e fortificato, poiché è stato
costruito in contrapposizione al mondo”. Una definizione
dell'arte e della cultura, penso, verso le quali siamo sospinti da
“un bisogno di ordine, ritmo e forma, le tre parole con cui
combattiamo il caos e il nulla”.
Un
labirinto dovrebbe per definizione spaventare, ma questo è invece
assai attraente, perché perdersi al suo interno porta, in apparente
contraddizione, al massimo dei guadagni: serenità interiore e
piacere intellettuale. Questa è l'Europa in cui mi piace viaggiare.
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