venerdì 11 maggio 2018

Sacco e Vanzetti 90/49 - Aldino Felicani

Nel 2017 si è ricordato un duplice anniversario:
novanta anni fa, il 23 agosto del 1927, il calzolaio pugliese Nicola Sacco e il pescivendolo piemontese Bartolomeo Vanzetti, furono ingiustamente messi a morte sulla sedia elettrica per un crimine che non avevano commesso;

quaranta anni fa, nel 1977, Michael Dukakis, all’epoca governatore del Massachusetts, riconobbe ufficialmente l’errore giudiziario e riabilitò la memoria dei due italiani.


Il testo seguente è la traduzione di materiali presentati ad una conferenza sul caso Sacco-Vanzetti tenutasi alla Public Library di Boston nell'ottobre 1979. Li mise a disposizione dello scrivente il professor Marcello Garino, rappresentante negli anni '70 del Comitato Provinciale Sacco e Vanzetti di Cuneo, che nel 1977 aveva accompagnato negli Stati Uniti la sorella di Bartolomeo Vanzetti, Vincenzina, e che partecipò alla conferenza del 1979. Le relazioni vennero pubblicate nel 1982 in Sacco-Vanzetti: Developments and Reconsiderations - 1979. Conference Proceedings, Boston, Trustees of the Public Library of the City of Boston - 1982; la pubblicazione è consultabile gratuitamente sul sito https://archive.org 


Aldino Felicani nacque a Vicchio, in provincia di Firenze, nel 1891. All’età di dodici anni si trasferì con la famiglia a Bologna, dove iniziò a lavorare come apprendista tipografo. Qui conobbe due attivisti libertari, Zavattero e Maria Rigier. Quest’ultima, incarcerata con la consueta accusa di oltraggio alla stampa, propose ad Aldino di continuare la pubblicazione del foglio antimilitarista Rompete le file, cosa che lo espose al rischio di fare la stessa fine della donna. Continuamente braccato dalla polizia, egli giunse negli Stati Uniti nel 1914 e si stabilì a Cleveland, dove cominciò a pubblicare il periodico La questione sociale. Più tardi si trasferì a New York, dove lavorò inizialmente come lavapiatti e poi come tipografo. Nel 1918 arrivò a Boston, dove trovò lavoro come linotipista presso il quotidiano La notizia; in seguito comprò una piccola tipografia, “The Excelsior Press”, dove avrebbe lavorato con i due figli, Anteo e Arthur, per tutta la vita.
Grazie a lui fu formato il Comitato di difesa Sacco e Vanzetti, di cui egli fu il tesoriere. Successivamente, iniziò a pubblicare L’agitazione che, tradotta in varie lingue, divenne conosciuta in molte parti del mondo. Questo giornale fu seguito da Controcurrent e poi da Lantern, scritto in parte in inglese e in parte in italiano, e, ancora più tardi, da Controcorrente, che durò fino alla caduta del regime fascista in Italia.
Felicani conservò le lettere, i manoscritti e tutto il materiale pubblicato riguardanti il caso Sacco-Vanzetti. Nel 1958 Norman Thomas Di Giovanni, un giovane giornalista e scrittore che si stava occupando del caso, entrò in contatto con Felicani. I due divennero amici e Di Giovanni iniziò a lavorare con passione alla classificazione dell’enorme mole di documenti raccolta da Felicani. Nel 1979 questo archivio fu donato alla Boston Public Library da Anteo e Arthur, i figli di Aldino, scomparso nel 1967.
Oreste Fabrizi, amico e collaboratore di Felicani, lo descrive così: “Aldino è conosciuto in tutto il mondo per la sua dedizione alla causa di Sacco e Vanzetti. Incrollabile antifascista, egli fu un implacabile nemico di qualsiasi forma di regime dittatoriale. A partire dalla sua adolescenza e fino al suo ultimo respiro partecipò attivamente ovunque fosse necessario lavorare per difendere gli oppressi in nome dei diritti umani. Uomo di carattere encomiabile, diventava metodico, saldo e tenace ogni volta che voleva raggiungere un obiettivo. Durante le nostre innumerevoli conversazioni ricordava spesso le lotte del passato, il lavoro compiuto e quello da compiere nel futuro, il tutto sempre con ottimismo, fiducia, umiltà e modestia. Si batté per tutte le cause nobili e giuste, e così lo ricordano tutti quello che l’hanno conosciuto. Per lui era sempre meglio fare poco piuttosto che niente, con lo stesso stile dell’indimenticabile Salvemini, che, quando voleva lavorare a pieno regime, ci ripeteva spesso che se uno dispone solo di mille mattoni non può costruire un palazzo per cui ne servono decine di migliaia.
Convinto difensore del suo ideale di riscatto dell’umanità, questo anarchico idealista della Romagna lavorò sempre gratuitamente, senza pretese né arroganza o insolenza. Ogni volta che il termometro di Controcorrente segnava febbre alta, mi chiedeva di ricordare ai compagni e agli abbonati le nostre difficoltà finanziarie. Molti conti rimanevano da pagare, perchè la sua gentilezza e la sua comprensione erano tali che egli non aveva la forza di pretendere ciò che gli era dovuto. Egli giunse a dirmi: “Oreste, quando si ricorderanno e avranno i soldi, verranno da me.” La porta dell’ufficio di Controcorrente, che era la stessa porta della tipografia, era aperta a tutti. Aldino non chiedeva mai a nessuno l’appartenenza politica. Grazie alla sua sensibilità per i problemi sociali, economici e politici, egli era stimato da molti importanti liberali americani, che lavorarono con lui in varie occasioni. La sua presenza ispirava fiducia, e per questo motivo si moltiplicarono sia gli amici sia la stima nei suoi confronti.
Controcorrente era uno strumento di demolizione, l’arena dove egli, con misurata precisione, combatté energicamente e con passione tutti i nemici della libertà, contro la violenza e l’ingiustizia sociale, e specialmente contro il fascismo, che aveva in lui uno dei più ostinati avversari. Egli era un intimo amico e un grande ammiratore di Gaetano Salvemini, il quale, dalle pagine di Controcorrente, documentò e denunciò i misfatti dei fascisti e del Duce.
Controcorrente non era il giornale esclusivamente personale di Aldino Felicani. Le sue pagine erano aperte a tutti. Egli desiderava che chiunque avesse qualcosa di serio da dire lo usasse. Nicola Tucci, Angelica Balabanoff, Massimo Salvadori, Giorgio Di Santillana, Davide Jona, Enzo Tagliacozzo, Gaetano Salvemini1, e molti altri, collaborarono e scrissero liberamente, contestando i pensieri e le azioni di altri senza limiti di censura. Aldino trascorse la maggior parte del tempo occupandosi della “Piccola Posta”, che egli riteneva il mezzo più efficace per tenere un dialogo diretto con i compagni, per far conoscere e capire il suo pensiero, per rendere note le sue opinioni e le sue idee libertarie.”
Enzo Tagliacozzo giunse in America nel 1941, dopo un anno trascorso in Inghilterra. Per tre anni lavorò ad Harvard come assistente di Salvemini. Entrò in contatto con gli antifascisti italiani, frequentò il Circolo Operaio di Somerville, formato da socialisti e libertari, e conobbe Felicani, il quale, ovviamente, lo invitò a collaborare a Controcorrente. “La figura imponente e la vigorosa stretta di mano di quel gigante buono - dice Tagliacozzo - nascondevano uno spirito molto sensibile che reagiva prontamente e istintivamente contro ogni ingiustizia. Libertario e anarchico, Felicani non rinunciò mai alla sua profonda convinzione che il migliore dei mondi possibili fosse quello caratterizzato da giustizia e libertà per tutti. Di fronte agli eventi che accaddero fra le due guerre mondiali, però, cominciò ad ammorbidire le sue posizioni di partenza. Iniziò a mitigare il suo intransigente pacifismo quando prese in considerazione la necessità di prevenire una vittoria nazista in Europa e nel mondo. Sebbene non coltivasse alcuna illusione sul regime interno della Russia sovietica, il sacrificio di vite umane patito dalla Russia nella guerra contro le dittature di destra fu innegabile e doveva essere sostenuto. Ciò non gli impedì di ricordare che l’Internazionale Comunista era diventata la longa manus dello Stato sovietico russo e di denunciare ciò che i comunisti avevano fatto in Spagna, sotto ordine di Stalin, per distruggere il POUM trozkista e l’opposizione anarchica, la morte di Camillo Berneri2, e i molti episodi che rafforzarono la sua profonda avversione di libertario nei confronti della Russia comunista.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Felicani aveva imparato a distinguere fra l’America di Harding e Hoover e quella di Roosevelt, fra le quali esisteva, dal punto di vista culturale e politico, un abisso. Egli riconosceva le differenze esistenti fra la legislazione sociale e il sostegno ai lavoratori che caratterizzarono il New Deal e il cieco conservatorismo dei Repubblicani. La politica economica di Roosevelt aveva contribuito ad uscire dalla morsa della crisi mondiale, mentre quella estera, dopo le esitazioni dei primi anni, aveva fatto dell’America l’arsenale della democrazia e, con l’intervento nella Seconda Guerra Mondiale, aveva contribuito in modo decisivo alla sconfitta dei Nazifascisti. La stessa resistenza russa, che fu uno dei fattori determinanti per la vittoria degli Alleati, non sarebbe stata possibile senza l’equipaggiamento militare fornito da Roosevelt. Felicani si rendeva perfettamente conto di tutto ciò ed aveva una grande ammirazione per le capacità di Roosevelt.
Venendo al lato italiano, bisogna dire che Felicani nutriva un’enorme stima per Salvemini, in cui vedeva un vero idolo. La prodigiosa attività di questo leader antifascista durante il suo soggiorno in America lasciava Felicani stupefatto. Inoltre, egli amava il carattere appassionato di Salvemini, la sua assoluta intransigenza morale e il suo sdegnoso rifiuto di qualsiasi compromesso con gli uomini e le forze contrari ai suoi ideali. Felicani non solo apprezzò tutto ciò, ma lo condivise pienamente.”
Dopo la caduta di Mussolini, Salvemini si rimise in contatto con Ernesto Rossi3 e con tutti i numerosi amici ed ammiratori che aveva in Italia. Il fedele Felicani pubblicò, allora, gli articoli che Salvemini scrisse per Il Ponte di Calamandrei, per Critica Sociale di Mondolfo, e per altre riviste. Negli anni 1944-45 Salvemini e i suoi amici erano molto impegnati con il quindicinale L’Italia Libera. Questa rivista e Controcorrente si sostennero a vicenda, per esempio in occasione del dibattito che divise la Mazzini Society (fondata anni prima da Salvemini e altri esuli italiani); Felicani e Controcorrente, infatti, appoggiarono Salvemini nella feroce critica della politica verso l’Italia di Churchill, accusato di voler salvare la monarchia, e della politica di Roosevelt, che - secondo Salvemini - avrebbe permesso a Churchill di fare ciò che voleva in Italia. Egli criticò anche il gruppo di Sforza Tarchiani e Ascoli che non voleva attaccare apertamente i potenti leader di Gran Bretagna e Stati Uniti.
Va sottolineata anche la pubblicazione da parte di Controcorrente di una serie di pamphlet di Salvemini, fra cui sono particolarmente importanti “Sulle relazioni fra Stato e Chiesa” e “Per una concentrazione di Repubblicani e Socialisti in Italia.” E’ quasi superfluo dire che Felicani sostenne energicamente la campagna di Salvemini per l’abolizione del Concordato con la Chiesa Cattolica stipulato da Mussolini.

(Oreste Fabrizi - Enzo Tagliacozzo)


Ecco la descrizione del funerale di Sacco e Vanzetti data da Aldino Felicani: “Nel frattempo avevo ordinato migliaia di fasce rosse da mettere al braccio, con la scritta in nero “La Giustizia Crocifissa - 22-23 agosto 1927.” Poi quella domenica mattina giunse. Era una giornata molto buia, stava quasi per piovere. Cominciai a vedere persone che conoscevo. Vidi gente di Chicago, di Detroit, di Paterson, New Jersey, di New York. C’era un imponente afflusso di gente da tutte le parti. Era una cosa incredibile. Era difficile camminare in Hanover Street. Le vie laterali erano piene di gente. Era una massa di esseri umani. Noi eravamo al quartier generale a distribuire le fasce. Joe Moro e tutti gli altri erano in giro. Decidemmo di far partire il corteo dal North End Park. Sparsi la voce di infilare le fasce tre o quattro isolati dopo il North End Park. Io ero nella macchina con Rosa Sacco e Luigia Vanzetti. Si trattava della macchina delle famiglie che seguiva il carro funebre. Partimmo all’incirca all’una, nel primo pomeriggio. Vorrei aver avuto la capacità di descrivere la massa di persone radunate in quella parte della città.
Il North End Park. era un vasto parco ed era pieno di gente come Hanover Street. Ce n’era sui tetti e alle finestre. Mi chiedevo come facessero quelle case a non cadere. Quando le fasce furono indossate, la polizia a cavallo entrò in azione. C’era così tanta gente che i cavalli non riuscivano a muoversi. Omaggi floreali erano giunti da ogni parte. C’erano macchine e macchine e macchine cariche di fiori. Fiori molto belli. Anche il quartier generale era pieno di fiori.
Quando arrivammo a Scollay Square, c’era un banchetto che distribuiva The Nation. The Nation aveva in prima pagina un disegno di Boardman Robinson che si intitolava “Justice Crucified.” Lì cominciò la distribuzione del giornale. Fu quando la polizia attaccò, travolgendo la gente con i cavalli e rompendo la fila del funerale.
Quando raggiungemmo Tremont Street la fila era spezzata. Cominciò a piovere piuttosto forte. La gente camminava senza impermeabili nè cappelli. Era impossibile andare giù in Beacon Street. Era impossibile usare altre strade. Ma alla fine riuscimmo a raggiungere il luogo della cremazione.
La violenza della polizia a Forest Hill fu qualcosa di indescrivibile. La gente fu presa a manganellate e quasi uccisa. I corpi di Sacco e Vanzetti furono cremati a Forest Hill. C’era un assembramento di gente da Beacon a Forest Hill. I giornali della sera parlarono di milioni di persone che che avevano assistito al funerale sotto una pioggia che veniva giù a secchiate. Arrivammo a Forest Hill e Jackson aveva scritto il discorso d’addio. Decidemmo che doveva essere Mary Donovan a leggerlo. Volevano che lo facessi io. Io non me la sentivo di fare niente del genere. Mary Donovan fu molto lieta di farlo e lo fece bene. La sala nel cimitero era molto piccola; una normale sala di un crematorio. Fu una faccenda molto commovente. Quando fu tutto finito, la gente se ne tornò semplicemente in città. Io accompagnai la signora Sacco e la signora Vanzetti dove vivevano. Passai un po’ di tempo con loro e poi andai a casa. Questo è tutto.”

(Alexander Cella)


Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti 90/40 è il titolo di una campagna di Amnesty International per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo.


1G. Salvemini (1873-1957) divenne alla fine del secolo scorso uno dei maggiori storici italiani. Aderì al Partito socialista e si battè per il suffragio universale e per la soluzione della questione meridionale. Combattè con i suoi scritti il malcostume politico dell’epoca giolittiana. Si allontanò poi da Turati e dal marxismo e nel 1911 lasciò il Partito socialista. Eletto deputato nel 1919, si schierò contrò Mussolini e contro gli aventiniani, dirigendo la rivista Non mollare! Arrestato, riuscì nel 1925 ad espatriare prima in Francia, poi a Londra e, infine, negli Stati Uniti, dove fu Professore all’Universitaà di Harvard. Fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà, da cui si distaccò quando l’organizzazione cominciò a collaborare con i comunisti.
2C. Berneri (1897-1937) espatriò in Francia nel 1926 a causa del suo antifascismo. Combattè nella legione internazionale durante la guerra civile spagnola. A Barcellona fondò e diresse il giornale Guerra di classe. Fu ucciso dai comunisti catalani.
3E. Rossi (1897-1967) fu uno dei fondatori di Non mollare! e diresse l’organizzazione segreta di Giustizia e Libertà. Confinato dai fascisti a Ventotene, fondò con Altiero Spinelli il Movimento federalista europeo. Membro del Partito d’Azione, nel dopoguerra fu sottosegretario nel governo Parri. Nel 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale.

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