Mi lascio alle spalle l'afosa estate della pianura cuneese risalendo in auto la strada statale 22 della Valle Maira. E' pomeriggio, sono solo e non ho una meta. Procedo ai cinquanta all'ora, in cerca di uno spunto per una sosta.
Fermo l’auto a Lottulo e scendo a leggere un’iscrizione posta all’ingresso del paese: «Eroico presidio della valle subì sterminio e distruzione maggio 1551 saccheggio e incendio gennaio 1553 passò in feudo ai Gioia di Asti 1601». Fino a quella data la confederazione dell’alta valle, di cui Lottulo era il primo comune, era riuscita a difendere la sua indipendenza dall’espansione del Ducato di Savoia.
Riparto e subito rallento per osservare, sulla mia sinistra, due borgate. Imbocco una strada sterrata per raggiungerle.
Oltrepasso la prima, la cui architettura non è interessante. Della seconda, invece, mi attira un affresco intravisto sulla facciata di una casa.
Sceso dall’auto, mi accorgo con sorpresa che la borgata non è disabitata: un vecchio è seduto sull’uscio di casa. Mi dirigo verso di lui, lo saluto e gli spiego che sono interessato alla pittura popolare di montagna.
- Vede questo campo – mi risponde indicando una lunga striscia di terreno – una volta lo tenevo a fieno e lo tagliavo tutto da solo. Ora non ce la faccio più. Vuole mica comprarlo? Glielo vendo, se vuole, tanto mia figlia fa la vigilessa a Saluzzo.
- No, grazie. Ma lei vive qui da solo?
- C’è anche mio fratello più giovane; vive in un’altra casa, là dietro.
Mi allontano in quella direzione, con la scusa dell’affresco. Curiosando fra le case, mi imbatto nel fratello del vecchio. Ha le mani insanguinate.
- Ho appena ammazzato un coniglio.
- Lei vive qui?
- Sì, ci siamo solo più io e mio fratello. Una volta era un paese pieno di gente. Pensi che avevamo anche chiesto di avere un parroco, sarà stato centocinquanta anni fa. Anche l’altra borgata più su lo voleva, e alla fine l’hanno dato a loro.
Sembra che racconti fatti vissuti di persona. Forse è un personaggio come Gioan Pittadè: da molti chiamato il ciabattino dei quattro soldi, da altri, più colti, identificato con l’ebreo errante, si dice nella valle che sia un uomo vecchio di mille e ottocento anni, che non può sedersi, né dormire, né fermarsi per più di tre giorni nello stesso luogo. Ogni mattina si ritrova in tasca quattro monete, che deve spendere o regalare ai poveri affinché ricompaiano il giorno seguente.
- Ma noi non abbiamo mica lasciato perdere – riprende l'uomo – Siamo andati in farmacia giù a Dronero a comprare del veleno per topi, abbiamo invitato il nuovo parroco a cena una sera e l’abbiamo avvelenato.
Fa una pausa; io non dico nulla, fisso le sue mani.
- Poi l’abbiamo seppellito, ed è finita lì. Sa, qui la legge non arriva.
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