domenica 5 settembre 2010

Vostok, parte diciassettesima


La casa dell’umorismo


Gabrovo è una città della Bulgaria centrale, i cui abitanti sono famosi per il loro attaccamento al denaro e la loro intraprendenza commerciale. Per tale motivo sono diventati i protagonisti delle barzellette bulgare sugli avari. Allo scopo di dimostrare la fondatezza di tali dicerie e, naturalmente, trarne profitto, il primo di aprile del 1972 essi hanno fondato la Casa dell’umorismo, deputata a raccogliere e tramandare le barzellette che li riguardano. Apprendo in questo modo che, in occasione della festa cittadina, gli abitanti di Gabrovo danzano in silenzio e con le scarpe foderate di feltro per attutire il rumore e sfruttare l’accompagnamento musicale dell’orchestra che sta suonando nella città più vicina. I boccali sono dotati di una protezione che permette di non bagnarsi i baffi con la schiuma della birra, evitando così di consumare un tovagliolo per asciugarli. Riproduzioni dei boccali e di altri oggetti caratteristici sono, ovviamente, in vendita nel negozio di souvenir della Casa.
Con il passare degli anni la Casa, il cui motto è «Il mondo dura perché ride», ha indetto una serie di competizioni internazionali di umorismo e satira, con sezioni per la pittura, la grafica, la scultura, la fotografia e le vignette, tutti campi nei quali oggi possiede una collezione strepitosa. Nel 1983 ha iniziato a pubblicare la rivista «A propos», il cui direttore, Todor Dinov, così descrive la Bulgaria nella prefazione al primo numero: «È un piccolo Paese dei Balcani, situato all’incrocio fra l’Europa e l’Asia. Da più di 1300 anni questo Stato porta lo stesso nome e non si è mai mosso dal suo posto. Ha resistito alle vicissitudini della storia, non per la forza della sua popolazione né per quella dei suoi eserciti, bensì per quella del suo sorriso». Fra le pagine della rivista, poi, ritrovo alcune conoscenze dei giorni precedenti: i diavoli che popolano gli affreschi del monastero di Rila e Otto Reisinger, il vignettista di origine slovena le cui tavole sono esposte alla Galleria Nazionale d’Arte di Sofia.
Meriterebbe uno spazio anche l’uomo che fa funzionare l’ostello in cui mi sono stabilito a Sofia: è un signore panciuto di circa cinquant’anni mal portati, con barba irsuta e capelli bianchi e arruffati, che non parla inglese ma conosce qualche parola di parecchie altre lingue, è strabico e molto gentile. Il suo numero più spassoso consiste nel mimare i turisti americani che gli hanno scassato la macchina per il caffè, le maniglie delle porte e la lavatrice. Nel farlo si aggira per l’ostello, ripete i gesti degli sciagurati ospiti, scuote la testa con faccia schifata e incredula e borbotta con il massimo disappunto «Amerikanski, amerikanski».
Deliziosi sono anche i miei ospiti a Madara, una località della Bulgaria nord-orientale. Il mio obiettivo è la visita della Goljamata peštera, la grande grotta in cui si praticava il culto di Dioniso e Cibele, e mi fermo in una casa per turisti che sorge accanto all’area archeologica. È una costruzione degli anni Sessanta, mai rinnovata e gestita da una coppia piuttosto avanti negli anni. La proprietaria mi parla cercando di infilare un po’ di inglese nel suo tedesco, mi mostra la stanza ohne bathroom e termina ogni frase con un accenno di inchino.
Il parco archeologico è celebre per il bassorilievo risalente all’VIII secolo che è riprodotto sulle monete bulgare: il khan uccide un leone, accompagnato dal cane che rappresenta il popolo fedele. Lo si raggiunge attraverso una scalinata che si apre in mezzo a un bosco, sulla cui cima mi appare, preannunciato dal suono di un flauto, un uomo in costume folcloristico che ha tutta l’aria di essere lì da quando Dioniso lo nominò guardiano dell’area sacra dedicata ai suoi culti. Ora finge di essere un venditore di strumenti musicali a fiato; compro un fischietto, che l’uomo sceglie premurosamente e mi porge accompagnato da una lunga serie di raccomandazioni per il bambino a cui regalerò l’oggetto.
Purtroppo le caverne non si possono visitare e, pertanto, me ne torno a casa. La sala bar è arredata da tre tavolini con poltroncine in metallo rivestite di pelle finta e consumata e la prima che ho provato ha ceduto perché aveva una gamba rotta. Sopra ogni tavolino ci sono tovaglie con stampi floreali e vasetti con piantine che crescono nell’acqua. Sul davanzale interno di un’ampia vetrata semicircolare sono schierati fiori in vaso e piante grasse, accanto a un televisore che trasmette la telenovela seguita dalla proprietaria. Le chiedo come si possa raggiungere Varna e la signora mi spiega che l’unica possibilità consiste nel prendere il treno del mattino per Šumen, dove potrò trovare la coincidenza per Varna. Considerato che dovrò percorrere alcuni chilometri a piedi per raggiungere la stazione, calcolo che uscirò di casa verso le 6,30 e, perciò, saldo il conto e saluto; sono l’unico cliente e non voglio costringere la signora ad alzarsi presto. Il mattino seguente, però, quando scendo dalla mia camera trovo la proprietaria che mi sta preparando il caffè.

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