sabato 18 settembre 2010

Vostok, parte decima


Bistecche d’orso


Oleg insegna inglese all’Università di Krasnoyarsk e ci porta a conoscere i dintorni della città, il parco naturale di Stolby e alcune vette dell’umorismo russo.
La città è un susseguirsi di cantieri. Sorgono grattacieli e centri commerciali, costruiti con materiali non di prima scelta, che vanno ad aggiungersi ai tre precedenti strati urbanistici siberiani: le case ottocentesche in legno a uno o due piani, gli edifici Art Nouveau dei primi del Novecento e l’edilizia popolare sovietica con la sua controparte di edifici pubblici in stile neoclassico. Nelle vie centrali, dedicate a Marx, a Lenin, alla Pace e alla Dittatura del Proletariato sono stati aperti parecchi negozi e tutti vendono merci di prima necessità.
Lasciamo il centro di Krasnoyarsk per Osvianka, un villaggio lungo il fiume Yenisei dove c’è la casa natale, oggi museo, dello scrittore Victor Astafev. Riabilitato con la perestrojka, era stato a lungo emarginato perché non allineato al partito comunista. Grazie al suo passato di combattente nella Seconda guerra mondiale, comunque, aveva goduto di una certa libertà di espressione e aveva denunciato i pericoli per l’ambiente causati dall’industrializzazione della Siberia. Una sua famosa poesia è dedicata allo storione scomparso dalle acque dello Yenisei dopo la costruzione delle dighe. Pochi anni fa, un monumento allo storione, con la poesia di Astafev incisa sul basamento, è stato eretto in un punto panoramico lungo il fiume. Gorbačëv e Yeltsin vennero a fargli visita e in quelle occasioni lo scrittore, ormai molto anziano, fu riportato nella casa natale, dove, a uso dei mass media, si finse vivesse ancora.
Oggi il villaggio è un luogo alla moda per chi vuole costruirsi una seconda casa, ma sulla porta di molte delle abitazioni più vecchie c’è una stella rossa di metallo, apposta affinché si ricordi che un membro di quella famiglia è caduto nella Grande Guerra Patriottica, come la Seconda Guerra Mondiale viene chiamata in Russia.
Risaliamo il corso del fiume, diretti alla diga di Dvinogorsk, e incontriamo molti stabilimenti abbandonati. Sono soprattutto industrie siderurgiche e chimiche, ci spiega Oleg, ferme da quindici anni: è più conveniente acquistare merci cinesi piuttosto che produrle e lo stesso discorso vale anche per la frutta e la verdura. La diga, iniziata negli anni Cinquanta, è entrata in funzione nel 1971, è alta cento metri e può produrre sei milioni di chilowatt. La sua costruzione provocò la nascita di una cittadina, i cui trentamila abitanti, però, oggi lavorano prevalentemente a Krasnoyarsk, in quanto bastano dodici persone per far funzionare la centrale idroelettrica. Nelle piazze di Dvinogorsk ci sono due monumenti: il primo è dedicato ai camion con cui furono trasportati i materiali per la costruzione della diga e consiste, ovviamente, in uno di quei mezzi issato su un piedistallo, mentre il secondo, una tenda stilizzata in metallo, fu eretto per ricordare gli operai che per primi vennero a lavorare qui, vivendo, anche d’inverno, in tende. Erano volontari, venuti per «costruire il comunismo».
Oleg, intanto, si lamenta dell’invasione degli hamburger all’americana e ci chiede se anche l’Italia ne è colpita. Rispondo che gli hamburger ci sono, ma li mangiano soprattutto i teen-ager, mentre gli adulti preferiscono i cibi tradizionali. Il suo commento è: «Patriotism comes with age». Gianmaria lo interroga sui piatti tipici della regione e lui dice che non ce ne sono, che forse la specialità è una fetta d’orso cacciato nella foresta.
La riserva naturale di Stolby è una destinazione popolare per i picnic degli abitanti di Krasnoyarsk ed è celebre per una zona disseminata di imponenti rocce basaltiche che hanno assunto forme antropomorfe o zoomorfe. Chiedo a Oleg se ci sono storie o miti che riguardano l’origine di queste rocce, come avviene per quelle della Sierra Tarahumara del Messico, e lui mi risponde: «No, Indians have a lot of time for dreaming». Poi, forse pentito per la brusca negazione o forse perché si rende conto di aver irrimediabilmente escluso i russi dalla categoria dei sognatori, aggiunge che una storia c’è, e racconta che Lenin, prima della rivoluzione, aveva organizzato un raduno di bolscevichi proprio in questa selva, con tanto di canti e bandiera rossa issata sulle rocce. Raggiunti dalla polizia zarista, i sovversivi si salvarono disperdendosi nella foresta.
Un uomo si sta arrampicando in una fenditura di un gruppo di rocce. Lo osserviamo arrivare in cima e poi ridiscendere scivolando lungo un’altra fenditura soprannominata Grattapelle. L’uomo ci viene poi incontro e, scoperta la nostra nazionalità, ci rivela che ogni sera sfoglia una rivista illustrata dalle foto di Firenze, della Pietà di Michelangelo, del monte Titano e di Rimini. Quindi, ci accompagna sotto una roccia che, con le due che la sostengono ai lati, forma un arco chiamato la Porta dei Leoni. Esserci passati sotto, veniamo a sapere, ci vale la cancellazione di tutti i peccati. Purificati, facciamo per allontanarci, ma l’arrampicatore ci offre ancora un numero: salito sulla roccia dell’Elefante, che in realtà assomiglia a un maiale, ne discende facendosi scivolare a testa in giù. «You’re lucky, il n’y a pas toujours le cirque ici», commenta Oleg.

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