Aldino
Felicani nacque a Vicchio, in provincia di Firenze, nel 1891. All’età
di dodici anni si trasferì con la famiglia a Bologna, dove iniziò a
lavorare come apprendista tipografo. Qui conobbe due attivisti
libertari, Zavattero e Maria Rigier. Quest’ultima, incarcerata con
la consueta accusa di oltraggio alla stampa, propose ad Aldino di
continuare la pubblicazione del foglio antimilitarista Rompete
le file,
cosa che lo espose al rischio di fare la stessa fine della donna.
Continuamente braccato dalla polizia, egli giunse negli Stati Uniti
nel 1914 e si stabilì a Cleveland, dove cominciò a pubblicare il
periodico La
questione sociale.
Più tardi si trasferì a New York, dove lavorò inizialmente come
lavapiatti e poi come tipografo. Nel 1918 arrivò a Boston, dove
trovò lavoro come linotipista presso il quotidiano La
notizia;
in seguito comprò una piccola tipografia, “The Excelsior Press”,
dove avrebbe lavorato con i due figli, Anteo e Arthur, per tutta la
vita.
Grazie a
lui fu formato il Comitato di difesa Sacco e Vanzetti, di cui egli fu
il tesoriere. Successivamente, iniziò a pubblicare L’agitazione
che, tradotta in varie lingue, divenne conosciuta in molte parti del
mondo. Questo giornale fu seguito da Controcurrent
e
poi da Lantern,
scritto in parte in inglese e in parte in italiano, e, ancora più
tardi, da Controcorrente,
che durò fino alla caduta del regime fascista in Italia.
Felicani
conservò le lettere, i manoscritti e tutto il materiale pubblicato
riguardanti il caso Sacco-Vanzetti. Nel 1958 Norman Thomas Di
Giovanni, un giovane giornalista e scrittore che si stava occupando
del caso, entrò in contatto con Felicani. I due divennero amici e Di
Giovanni iniziò a lavorare con passione alla classificazione
dell’enorme mole di documenti raccolta da Felicani. Nel 1979 questo
archivio fu donato alla Boston Public Library da Anteo e Arthur, i
figli di Aldino, scomparso nel 1967.
Oreste
Fabrizi, amico e collaboratore di Felicani, lo descrive così:
“Aldino è conosciuto in tutto il mondo per la sua dedizione alla
causa di Sacco e Vanzetti. Incrollabile antifascista, egli fu un
implacabile nemico di qualsiasi forma di regime dittatoriale. A
partire dalla sua adolescenza e fino al suo ultimo respiro partecipò
attivamente ovunque fosse necessario lavorare per difendere gli
oppressi in nome dei diritti umani. Uomo di carattere encomiabile,
diventava metodico, saldo e tenace ogni volta che voleva raggiungere
un obiettivo. Durante le nostre innumerevoli conversazioni ricordava
spesso le lotte del passato, il lavoro compiuto e quello da compiere
nel futuro, il tutto sempre con ottimismo, fiducia, umiltà e
modestia. Si batté per tutte le cause nobili e giuste, e così lo
ricordano tutti quello che l’hanno conosciuto. Per lui era sempre
meglio fare poco piuttosto che niente, con lo stesso stile
dell’indimenticabile Salvemini, che, quando voleva lavorare a pieno
regime, ci ripeteva spesso che se uno dispone solo di mille mattoni
non può costruire un palazzo per cui ne servono decine di migliaia.
Convinto
difensore del suo ideale di riscatto dell’umanità, questo
anarchico idealista della Romagna lavorò sempre gratuitamente, senza
pretese né arroganza o insolenza. Ogni volta che il termometro di
Controcorrente
segnava febbre alta, mi chiedeva di ricordare ai compagni e agli
abbonati le nostre difficoltà finanziarie. Molti conti rimanevano da
pagare, perchè la sua gentilezza e la sua comprensione erano tali
che egli non aveva la forza di pretendere ciò che gli era dovuto.
Egli giunse a dirmi: “Oreste, quando si ricorderanno e avranno i
soldi, verranno da me.” La porta dell’ufficio di Controcorrente,
che era la stessa porta della tipografia, era aperta a tutti. Aldino
non chiedeva mai a nessuno l’appartenenza politica. Grazie alla sua
sensibilità per i problemi sociali, economici e politici, egli era
stimato da molti importanti liberali americani, che lavorarono con
lui in varie occasioni. La sua presenza ispirava fiducia, e per
questo motivo si moltiplicarono sia gli amici sia la stima nei suoi
confronti.
Controcorrente
era uno strumento di demolizione, l’arena dove egli, con misurata
precisione, combatté energicamente e con passione tutti i nemici
della libertà, contro la violenza e l’ingiustizia sociale, e
specialmente contro il fascismo, che aveva in lui uno dei più
ostinati avversari. Egli era un intimo amico e un grande ammiratore
di Gaetano Salvemini, il quale, dalle pagine di Controcorrente,
documentò e denunciò i misfatti dei fascisti e del Duce.
Controcorrente
non era il giornale esclusivamente personale di Aldino Felicani. Le
sue pagine erano aperte a tutti. Egli desiderava che chiunque avesse
qualcosa di serio da dire lo usasse. Nicola Tucci, Angelica
Balabanoff, Massimo Salvadori, Giorgio Di Santillana, Davide Jona,
Enzo Tagliacozzo, Gaetano Salvemini,
e molti altri, collaborarono e scrissero liberamente, contestando i
pensieri e le azioni di altri senza limiti di censura. Aldino
trascorse la maggior parte del tempo occupandosi della “Piccola
Posta”, che egli riteneva il mezzo più efficace per tenere un
dialogo diretto con i compagni, per far conoscere e capire il suo
pensiero, per rendere note le sue opinioni e le sue idee libertarie.”
Enzo
Tagliacozzo giunse in America nel 1941, dopo un anno trascorso in
Inghilterra. Per tre anni lavorò ad Harvard come assistente di
Salvemini. Entrò in contatto con gli antifascisti italiani,
frequentò il Circolo Operaio di Somerville, formato da socialisti e
libertari, e conobbe Felicani, il quale, ovviamente, lo invitò a
collaborare a Controcorrente.
“La figura imponente e la vigorosa stretta di mano di quel gigante
buono - dice Tagliacozzo - nascondevano uno spirito molto sensibile
che reagiva prontamente e istintivamente contro ogni ingiustizia.
Libertario e anarchico, Felicani non rinunciò mai alla sua profonda
convinzione che il migliore dei mondi possibili fosse quello
caratterizzato da giustizia e libertà per tutti. Di fronte agli
eventi che accaddero fra le due guerre mondiali, però, cominciò ad
ammorbidire le sue posizioni di partenza. Iniziò a mitigare il suo
intransigente pacifismo quando prese in considerazione la necessità
di prevenire una vittoria nazista in Europa e nel mondo. Sebbene non
coltivasse alcuna illusione sul regime interno della Russia
sovietica, il sacrificio di vite umane patito dalla Russia nella
guerra contro le dittature di destra fu innegabile e doveva essere
sostenuto. Ciò non gli impedì di ricordare che l’Internazionale
Comunista era diventata la longa
manus
dello Stato sovietico russo e di denunciare ciò che i comunisti
avevano fatto in Spagna, sotto ordine di Stalin, per distruggere il
POUM trozkista e l’opposizione anarchica, la morte di Camillo
Berneri,
e i molti episodi che rafforzarono la sua profonda avversione di
libertario nei confronti della Russia comunista.
Per
quanto riguarda gli Stati Uniti, Felicani aveva imparato a
distinguere fra l’America di Harding e Hoover e quella di
Roosevelt, fra le quali esisteva, dal punto di vista culturale e
politico, un abisso. Egli riconosceva le differenze esistenti fra la
legislazione sociale e il sostegno ai lavoratori che caratterizzarono
il New Deal e il cieco conservatorismo dei Repubblicani. La politica
economica di Roosevelt aveva contribuito ad uscire dalla morsa della
crisi mondiale, mentre quella estera, dopo le esitazioni dei primi
anni, aveva fatto dell’America l’arsenale della democrazia e, con
l’intervento nella Seconda Guerra Mondiale, aveva contribuito in
modo decisivo alla sconfitta dei Nazifascisti. La stessa resistenza
russa, che fu uno dei fattori determinanti per la vittoria degli
Alleati, non sarebbe stata possibile senza l’equipaggiamento
militare fornito da Roosevelt. Felicani si rendeva perfettamente
conto di tutto ciò ed aveva una grande ammirazione per le capacità
di Roosevelt.
Venendo
al lato italiano, bisogna dire che Felicani nutriva un’enorme stima
per Salvemini, in cui vedeva un vero idolo. La prodigiosa attività
di questo leader antifascista durante il suo soggiorno in America
lasciava Felicani stupefatto. Inoltre, egli amava il carattere
appassionato di Salvemini, la sua assoluta intransigenza morale e il
suo sdegnoso rifiuto di qualsiasi compromesso con gli uomini e le
forze contrari ai suoi ideali. Felicani non solo apprezzò tutto ciò,
ma lo condivise pienamente.”
Dopo la
caduta di Mussolini, Salvemini si rimise in contatto con Ernesto
Rossi
e con tutti i numerosi amici ed ammiratori che aveva in Italia. Il
fedele Felicani pubblicò, allora, gli articoli che Salvemini scrisse
per Il
Ponte di
Calamandrei, per Critica
Sociale di
Mondolfo, e per altre riviste. Negli anni 1944-45 Salvemini e i suoi
amici erano molto impegnati con il quindicinale L’Italia
Libera.
Questa rivista e Controcorrente
si sostennero a vicenda, per esempio in occasione del dibattito che
divise la Mazzini Society (fondata anni prima da Salvemini e altri
esuli italiani); Felicani e Controcorrente,
infatti, appoggiarono Salvemini nella feroce critica della politica
verso l’Italia di Churchill, accusato di voler salvare la
monarchia, e della politica di Roosevelt, che - secondo Salvemini -
avrebbe permesso a Churchill di fare ciò che voleva in Italia. Egli
criticò anche il gruppo di Sforza Tarchiani e Ascoli che non voleva
attaccare apertamente i potenti leader di Gran Bretagna e Stati
Uniti.
Va
sottolineata anche la pubblicazione da parte di Controcorrente
di una serie di pamphlet di Salvemini, fra cui sono particolarmente
importanti “Sulle relazioni fra Stato e Chiesa” e “Per una
concentrazione di Repubblicani e Socialisti in Italia.” E’ quasi
superfluo dire che Felicani sostenne energicamente la campagna di
Salvemini per l’abolizione del Concordato con la Chiesa Cattolica
stipulato da Mussolini.
(Oreste Fabrizi - Enzo Tagliacozzo)
Ecco la
descrizione del funerale di Sacco e Vanzetti data da Aldino Felicani:
“Nel frattempo avevo ordinato migliaia di fasce rosse da mettere al
braccio, con la scritta in nero “La Giustizia Crocifissa - 22-23
agosto 1927.” Poi quella domenica mattina giunse. Era una giornata
molto buia, stava quasi per piovere. Cominciai a vedere persone che
conoscevo. Vidi gente di Chicago, di Detroit, di Paterson, New
Jersey, di New York. C’era un imponente afflusso di gente da tutte
le parti. Era una cosa incredibile. Era difficile camminare in
Hanover Street. Le vie laterali erano piene di gente. Era una massa
di esseri umani. Noi eravamo al quartier generale a distribuire le
fasce. Joe Moro e tutti gli altri erano in giro. Decidemmo di far
partire il corteo dal North End Park. Sparsi la voce di infilare le
fasce tre o quattro isolati dopo il North End Park. Io ero nella
macchina con Rosa Sacco e Luigia Vanzetti. Si trattava della macchina
delle famiglie che seguiva il carro funebre. Partimmo all’incirca
all’una, nel primo pomeriggio. Vorrei aver avuto la capacità di
descrivere la massa di persone radunate in quella parte della città.
Il North
End Park. era un vasto parco ed era pieno di gente come Hanover
Street. Ce n’era sui tetti e alle finestre. Mi chiedevo come
facessero quelle case a non cadere. Quando le fasce furono indossate,
la polizia a cavallo entrò in azione. C’era così tanta gente che
i cavalli non riuscivano a muoversi. Omaggi floreali erano giunti da
ogni parte. C’erano macchine e macchine e macchine cariche di
fiori. Fiori molto belli. Anche il quartier generale era pieno di
fiori.
Quando
arrivammo a Scollay Square, c’era un banchetto che distribuiva The
Nation. The Nation
aveva in prima pagina un disegno di Boardman Robinson che si
intitolava “Justice Crucified.” Lì cominciò la distribuzione
del giornale. Fu quando la polizia attaccò, travolgendo la gente con
i cavalli e rompendo la fila del funerale.
Quando
raggiungemmo Tremont Street la fila era spezzata. Cominciò a piovere
piuttosto forte. La gente camminava senza impermeabili nè cappelli.
Era impossibile andare giù in Beacon Street. Era impossibile usare
altre strade. Ma alla fine riuscimmo a raggiungere il luogo della
cremazione.
La
violenza della polizia a Forest Hill fu qualcosa di indescrivibile.
La gente fu presa a manganellate e quasi uccisa. I corpi di Sacco e
Vanzetti furono cremati a Forest Hill. C’era un assembramento di
gente da Beacon a Forest Hill. I giornali della sera parlarono di
milioni di persone che che avevano assistito al funerale sotto una
pioggia che veniva giù a secchiate. Arrivammo a Forest Hill e
Jackson aveva scritto il discorso d’addio. Decidemmo che doveva
essere Mary Donovan a leggerlo. Volevano che lo facessi io. Io non me
la sentivo di fare niente del genere. Mary Donovan fu molto lieta di
farlo e lo fece bene. La sala nel cimitero era molto piccola; una
normale sala di un crematorio. Fu una faccenda molto commovente.
Quando fu tutto finito, la gente se ne tornò semplicemente in città.
Io accompagnai la signora Sacco e la signora Vanzetti dove vivevano.
Passai un po’ di tempo con loro e poi andai a casa. Questo è
tutto.”
(Alexander Cella)