giovedì 11 ottobre 2018
mercoledì 19 settembre 2018
Viaggiare in Hokkaido, ovvero: un ringraziamento alle impiegate degli uffici informazioni turistiche (nonché alle bariste e alle loro amiche)
Dalla
città di Nemuro, un bus mi porta a Nosappu Misaki, il punto più a est
dell'isola di Hokkaido e quindi del Giappone.
Piove.
Sul bus, un gruppetto di estremisti geografici come me. Macchine fotografiche
pronte, ombrelli in pugno. Quando si apre la porta e scendiamo, veniamo accolti
da un vento che ci spinge tutti dentro il Northern Territories Museum. Dedicato
alle isole Habomai, Shikotari, Kunashiri e Etorofu, di cui il Giappone chiede
alla Russia la restituzione. "It
is the common desire of the Japanese people for the Northern Territories to be
reverted to Japan as soon as possible". La disputa è così riassunta
al Hokkaido Museum di Sapporo:
Tornato
a Nemuro, concepisco un ambizioso piano per mettere alla prova me e la rete
giapponese di trasporti pubblici: arrivare in due giorni a Nibutani, comune di
Biratori (nella zona centrale dell'Hokkaido), passando per Erimo Misaki,
estremità della punta sud-est dell'isola.
Dispongo di informazioni sui treni fino a Obihiro, poi ho soltanto indicazioni molto vaghe su bus e campeggi.
Giorno 1 (venerdì): partenza da Nemuro alle 5,31, primo imprevisto a Kushiro, dove la coincidenza per Obihiro è stata cancellata perché è un espresso che avrebbe dovuto arrivare da Sapporo e tornarci, ma la linea è stata chiusa nell'ovest per forti piogge. Avevo già il biglietto con il supplemento per l'espresso, ma prenderò un locale e quindi mi rimborsano immediatamente la differenza.
Dispongo di informazioni sui treni fino a Obihiro, poi ho soltanto indicazioni molto vaghe su bus e campeggi.
Giorno 1 (venerdì): partenza da Nemuro alle 5,31, primo imprevisto a Kushiro, dove la coincidenza per Obihiro è stata cancellata perché è un espresso che avrebbe dovuto arrivare da Sapporo e tornarci, ma la linea è stata chiusa nell'ovest per forti piogge. Avevo già il biglietto con il supplemento per l'espresso, ma prenderò un locale e quindi mi rimborsano immediatamente la differenza.
Col
locale arrivo a Obihiro alle 13 passate. Alla stazione, l’impiegata
dell’ufficio informazioni turistiche mi spiega che per andare a sud posso
prendere un bus per Hiroo, dormire lì in campeggio e la mattina dopo un bus mi
porterà a Erimo Misaki e poi a Samani, da cui altri bus partono verso
nord-ovest. Mi fornisce gli orari delle prime due linee e l'indirizzo del
campeggio. La stazione dei bus è, come sempre, di fronte a quella dei treni,
trovo facilmente il mio e verso le 17,30 sono in campeggio. Sotto alti alberi e
con vista sull'oceano (che di notte si riposa, scopro svegliandomi un paio di
volte).
Giorno
2 (sabato): alle 8 mi incammino dal campeggio verso il centro di Hiroo per
trovare la stazione dei bus. In un'oretta arrivo al municipio; è chiuso, ma c'è
il guardiano che mi dà indicazioni. Devo tornare indietro per una ventina di
minuti e girare a sinistra. In quel momento entra una signora e chiede la
stessa indicazione, la ottiene e mi dà un passaggio in auto. Mi spiega che non
deve prendere un bus, ma sta ripercorrendo i luoghi d'origine del marito morto
recentemente. Troviamo la piazza della stazione, lei la confronta con le sue
vecchie fotografie e io alle 10 salgo su un bus che passa per Erimo Misaki.
A
Samani arrivo a mezzogiorno. Il tempo di una vaschetta di verdure, prosciutto e
insalata russa e riparto con il bus che sostituisce il treno (a causa della
scomparsa di tratti di ferrovia mangiati dall'oceano). Alle 15 si cambia a
Shizunai. In stazione c'è un ufficio informazioni turistiche, la cui impiegata,
consultando un autista dei bus, mi organizza il tratto mancante: un bus alle 16
per Tomikawa e lì il cambio per Nibutani. Mi dà gli orari e mi sottolinea la
fermata per scendere vicino al campeggio di Nibutani. A Tomikawa c'è da
aspettare tre quarti d'ora e attorno alla stazione non ci sono negozi per
procurarmi la cena. Chiedo indicazioni a una signora, la quale sta andando al
supermercato, mi ci accompagna in auto e facciamo la spesa, poi mi porta alla
fermata del bus. Alle 19,10 la tenda è montata. Scendendo dall'ultimo bus,
avevo visto che in paese c'era festa e così ci torno. Si suona, canta e danza
perché il giorno successivo ci sarà il chipusanke,
una delle principali festività degli Ainu, dei quali Nibutani è la capitale
culturale. Arrivando un giorno dopo, mi sarei perso il concerto (e gli
spiedini) del sabato sera e la cerimonia delle canoe alla domenica.
Lunedì:
da Nibutani ritorno in bus a Tomikawa, altro bus sostitutivo per Mukawa (con
l'autista che mi dice: "Paga poi alla stazione di Tomakomai, digli dove
sei salito"), treno per Tomakomai appunto, un altro per Minami Chitose e
infine uno per Yubari.
Città
- avevo letto - spopolata dei suoi 120.000 abitanti dopo che vennero chiuse le
miniere di carbone in cui lavoravano, ma che ha cercato di riprendere vita
negli anni Novanta con un Festival del Cinema Fantastico. Nel '93 Tarantino ci
presentò Le iene e si dice che in
albergo abbia scritto parte di Pulp
fiction. In Kill Bill, Gogo
Yubari è un personaggio dedicato alla città. Il che mette un certo timore per
ciò che si incontrerà. Su internet non compaiono né ostelli né campeggi. Decido
che ci sarà una signora all'ufficio informazioni turistiche che mi aiuterà.
Ci
arrivo alle 16,30. L'ufficio informazioni turistiche è chiuso. Vado al caffè
della stazione e spiego il mio caso alla barista: cerco una sistemazione più economica
dell'Hotel Mount Racey che c'è a fianco. Si mobilitano un'altra barista che
parla un po' di inglese e una cliente. La prima telefona a un ostello che è a
una ventina di minuti di auto, lo Yubari Forest Farm Youth Hostel, e la seconda
mi ci porta. È amica di Shizu che lo gestisce, dice.
Il
giorno dopo Miho, la sorella di Shizu, mi porta in auto alla stazione di
Numanosawa, per prendere un treno e tornare a Yubari. Vado subito al caffè
della stazione per ringraziare la barista, ma oggi è chiuso. Se anche qui fossi
arrivato un giorno dopo…
La
città è davvero semideserta. Nella via principale, soprannominata CinemaStreet, gli edifici hanno appesi sulle facciate grandi riproduzioni dei
manifesti di film mitici. Si comincia con I
sette samurai. Più avanti, I
magnifici sette. Sull'ufficio postale, Audrey Hepburn in My fair lady. Poi John Wayne, James
Dean, Charles Bronson, la coppia Delon-Gabin e molti giapponesi che non
conosco.
Proseguo
per andare a visitare il Museo dedicato alle miniere di carbone. Coerentemente,
lo trovo chiuso, con l'aspetto di un luogo abbandonato da tempo.
martedì 11 settembre 2018
Hokkaido, la terra degli orsi (e di altri animali)
Per i giapponesi, la
parola scritta ha grande valore. Nei luoghi pubblici, come le stazioni ferroviarie, i cartelli abbondano e l'atteggiamento mentale generale
sembra essere: “Leggiamo e poi facciamo quello che c'è scritto”.
Con l'afflusso di
turisti stranieri, sono comparsi gli avvisi scritti in più lingue, che sono utili anche per comprendere come una regione, in questo caso
l'Hokkaido, si descrive a chi la visita. Se si presta attenzione ai cartelli, il messaggio che ci comunicano è chiaro: questa è la terra degli orsi (e di altri animali): umani, non disturbateli e fate attenzione!
Avvertenze nei campeggi:
Avvistamenti verso l'Asahi-dake:
E sul Rausu-dake:
On the road:
Gli Ainu, antichi abitatori dell'isola, avevano una diversa relazione con gli orsi:
(foto dal Kaneto Kawamura Ainu Museum di Asahikawa)
E con i gufi:
Ma ci sono anche altri uccelli:
Fra cui gli unici ladri che si incontrano in Giappone:
Anche tartarughe (in un certo senso):
Foto di gruppo:
Ma loro, gli orsi, cosa ci vogliono comunicare?
PS. Forse in Giappone
il rispetto degli avvisi scritti deriva in parte dal fatto che sono
di solito logici e sensati, e in parte dalla fiducia che
tradizionalmente si ripone nelle autorità. Tutto l'opposto avviene
in Italia, dove si dà per scontato che quello che si legge su un cartello
sia inaffidabile o sbagliato o non aggiornato o comunque da
trascurare. Basti pensare al terribile significato dell'espressione
«sulla carta è così, ma...».
La maggior parte degli italiani non sente la forza della
parola scritta, anche perché non ha fiducia in chi la scrive. Per fermarli o indirizzarli bisogna ricorrere a qualcosa di
fisico, come barriere o transenne, e spesso non basta neanche quello.
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