Nel 1981 Ludovico Corrao,
sindaco della nuova Gibellina, invita Alberto Burri a visitare la
città. Negli anni precedenti Corrao aveva chiamato altri artisti a
realizzarvi le loro opere. Per gli anni Settanta, una duplice utopia:
disseminare l'arte nelle vite quotidiane delle persone, scegliendo
come arte quella contemporanea.
Burri ricorda: «Quando
andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi
ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro,
dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era
quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva
quasi da piangere e subito mi venne l'idea: ecco, io qui mi sento che
potrei fare qualcosa.»1
Negli
anni Settanta, Burri aveva realizzato una serie di opere in caolino e
vinavil che, per via della cottura o dell'essiccazione, presentavano
una superficie fessurata. Le chiamò Cretti;
le ultime erano di grandi dimensioni, fino a quindici metri di lato.
Presso i ruderi di Gibellina maturò il progetto del Grande
Cretto.
Nel
1984 le macerie della case distrutte dal terremoto vennero
ammucchiate e livellate in blocchi alti circa un metro e mezzo,
tenuti insieme da reti metalliche. Corrao ottenne per l'operazione
l'intervento dell'esercito. Sui blocchi venne colato cemento liquido
bianco; ampie fenditure, larghe un paio di metri, li separano uno
dall'altro.
Se
fotografato solo in parte e dall'alto, il Grande
Cretto è un cretto
come gli altri; visto da lontano insieme con il paesaggio
circostante, è una pietra sepolcrale posta sul prato di un cimitero.
Non
ci si avvicina ad essa, però, per leggere i nomi dei defunti, ci si
entra camminando nelle fenditure. Si capisce, in tal modo, che queste
non sono fessurazioni casuali come quelle prodotte nei piccoli cretti dalla
cottura; sono le vie di un paese, un tempo percorse dai suoi
abitanti. Il visitatore è trasportato nei luoghi per eccellenza della vita sociale e allo stesso tempo costretto a
constatare che la vita non vi scorre più.
Ancor
più delle rovine dei non lontani templi di Selinunte e Segesta, i
blocchi bianchi e grigi2
di cemento rendono percepibile l'assenza, la scomparsa di chi in quei
luoghi ha vissuto.
Qui altre foto del Grande Cretto.
1
Tratto da Gibellina
Arte Contemporanea,
Ali&no editrice 2014, p. 28.
2
I lavori venero interrotti nel 1989, e terminati nel 2015: perciò,
il diverso colore delle due parti.
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