venerdì 5 agosto 2022

La Curnis Auta in Valle Grana

 

Un lunedì mattina di luglio, tre amici si incamminano dalla chiesa di san Pietro e Paolo di Bernezzo in direzione della Maddalena. I primi duecento metri di dislivello li coprono che sta appena albeggiando. I tre continuano a camminare sulla cresta che divide la valle del Cugino da quella di sant'Anna, fino alla località Le Funze, dove il sentiero confluisce nel percorso della Curnis Auta che parte da Vignolo.

Sono uno dei tre, insieme con Paolo e Pierre. Quest'ultimo, che come me anni fa ha compiuto il pellegrinaggio buddista degli 88 templi nell'isola giapponese di Shikoku, ci ricorda che quel cammino è diviso in quattro parti: la prima è dedicata al risveglio spirituale, la seconda all'addestramento ascetico, nella terza si dovrebbe raggiungere l'illuminazione e nella quarta il nirvana. Sarà così anche sulla Curnis – ci chiediamo – , che è divisa in quattro giornate?

Intanto alla nostra sinistra compare la valle Stura. Oltrepassiamo il Chiot Rosa e alla borgata Chiappera prendiamo a destra verso Poggio Francila. Primo errore: imbocchiamo un sentiero che ci porta troppo a sud. Ma ci riorientiamo e tagliando per i prati raggiungiamo l'Arpiola e poi l'Alpe di Rittana. Siamo a più di 1700 metri di altitudine e quindi abbiamo coperto la maggior parte del dislivello giornaliero, ma ci aspettano i primi saliscendi del percorso. Camminando a sud del Beccas del Mezzodì raggiungiamo il colle dell'Ortiga, poi continuiamo verso nord-ovest verso la meta della prima giornata: il bivacco Rosset. Lasciati alle spalle i boschi, sono cominciati i vasti panorami.

(foto di Paolo Ferrari)

Ciascuna delle quattro sezioni del pellegrinaggio giapponese (dieci-dodici giorni di cammino l'una, perché l'intero percorso richiede circa 45 giorni) si conclude con una tappa più impegnativa delle altre, una specie di esame finale. Sembra essere così anche sulla Curnis, ovviamente in proporzione. Raggiunto il punto più alto della giornata, a 1913 metri, infatti, ci aspetta ancora più di mezz'ora di saliscendi su uno stretto sentiero. Arriviamo al bivacco (1900 m. s.l.m.) al termine di otto ore di camminata. Qui ci entusiasmiamo per la bellezza del luogo, e anche perché, unici ospiti, abbiamo la possibilità di sistemarci nel bivacco – già molto accogliente – trasformandolo nella nostra tana. Ognuno sfoga le proprie passioni: Paolo utilizza una scala per allestire uno stendibiancheria, io metto in ordine le provviste come se fossero sugli scaffali di un negozio. Infine, ci cuciniamo lentamente un minestrone.

Il giorno successivo, martedì, ci svegliamo con la prima luce. Si riparte subito in salita, verso il monte Prat Pian. Ci portiamo sopra i 2000 metri di altitudine (e ci resteremo per due giorni), mentre un animale (un camoscio?) ci osserva dall'alto di una cresta. Poi una discesa, al passo della Magnana e poi ancora una salita al monte Grum. Sarà così tutto il giorno: l'asceta, riflettiamo, deve essere sempre pronto ad affrontare nuove discese e nuove salite, senza recriminare o abbattersi.

(foto di Paolo Ferrari)

La seconda colazione del giorno la facciamo al bivacco Bernardi, presso il laghetto del Bram, in gran parte prosciugato come tutti quelli che incontreremo. Continuiamo al cospetto della cima del monte Bram, che durante la Resistenza diede il nome a una delle più importanti formazioni partigiane della valle Grana, poi protagonista della “pianurizzazione” verso le Langhe nel dicembre del 1944.

Superati il colle del Bram e il monte Borel, affrontamo la salita e la discesa più impegnative della giornata e dell'intero percorso: quelle della Cresta di Mulets. Ma dopo essere scesi al col di Mulets bisogna risalire alla cima Viribianc. Siamo quasi a 2500 metri e un'aquila volteggia meravigliosamente alla nostra altitudine. La discesa al passo Viridio preclude all'ascesa al monte omonimo. Da ore, alla nostra sinistra ammiriamo il panorama del vallone dell'Arma, mentre alla nostra destra c'è un muro di nebbia. Noi camminiamo sullo stretto spazio della cresta, con una parte del corpo al sole e l'altra quasi inghiottita da una nuvola. Anche oggi l'ultima delle otto ore giornaliere di cammino è una prova; quando ci si sente già arrivati c'è ancora da attraversare una pietraia prima di scendere al rifugio Fauniera. Zeus ci vuole bene e aspetta ancora qualche minuto prima di scatenare un acquazzone, che guardiamo dalla finestra della camerata. Anche la cuoca del rifugio ci vuole bene, a giudicare dalla cena che ci prepara.

Mercoledì, ovvero il giorno in cui attendere l'illuminazione. Che arriva subito, appena superato il colle di Esischie, sotto forma di meraviglioso panorama sul vallone di Marmora, con la Rocca la Meja sullo sfondo. E si ripeterà più volte: ammirando la punta Tempesta, l'anfiteatro delle Grange del Tibert, la comba di Narbona vista dalle Basse di Narbona, i prati di Rocca della Cernauda.


(foto di Paolo Ferrari)

Dopo il colle della Margherita, ridiscendiamo sotto i 2000 metri, con una sosta ai 1979 della cima del monte Cauri. Questa zona era il rifugio dei partigiani della val Maira durante i rastrellamenti: dalle borgate intorno a Santa Margherita di Dronero salivano qui per mettersi al sicuro dalle incursioni nazifasciste.

Con una ripida discesa (difficoltà finale del giorno) scendiamo al colle del Gerbido e quindi a Pradleves, la “capitale dei partigiani” durante la Resistenza. A Pradleves avevano sede i comandi di divisione e di brigata dei GL e il commissario politico dei garibaldini, vi affluivano rifornimenti e aviolanci, rimesse di denaro e comunicazioni da Cuneo e Torino; nel novembre 1944 venne scelta come sede del comando della V Zona Cuneo Ovest. I nazifascisti tentarono due volte di occupare Pradleves, alla fine di novembre 1944 e nel febbraio 1945, ma vennero sempre respinti. Qui si radunarono, fra la fine di dicembre e i primi di gennaio 1945, i reparti partigiani che vennero trasferiti nelle Langhe con la “pianurizzazione”.

Per noi fare tappa a Pradleves, dopo le ormai consuete otto ore di camminata, è anche l'occasione per un'ottima cena alla trattoria Leon d'oro.

Il giovedì per prima cosa ci riportiamo ai quasi 1200 metri di altitudine di Barma Granda. La leggenda vuole che qui sia vissuta una malvagia masca, Manho Pertusino, uccisa infine da un sarvanot che la gettò in un precipizio. E se – mi chiedo – la masca non fosse stata malvagia, ma (come tante altre donne protagoniste di vicende analoghe) una persona indipendente, vittima dell'invidia popolare? E il sarvanot un pretendente respinto e violento?

La Curnis continua attraversando bellissimi boschi e valicando una serie di colli (Ollasca, La Peira, della Piatta) in cui si incrociano strade e mulattiere che danno l'idea della rete di vie di comunicazione un tempo esistente tra le borgate della val Grana e quelle della val Maira.


(foto di Pierre Crozat)

Dopo aver superato Biotto e San Rocco, saliamo alla cima Varengo e quindi scendiamo a Montemale. Siamo un po' intontiti dal caldo, ma Pierre scorge comunque la fontana di fronte alla palestra di arrampicata: la combinazione di acqua fresca, ombra e panchine si avvicina di molto al nirvana che aspettavamo. La discesa prosegue nei boschi a monte di Bottonasco, dove incontriamo vari serpenti, gli animali del giorno. Animali sacri per alcune civiltà, tra l'altro, dall'antica Grecia all'Asia contemporanea. A Paniale salutiamo la Curnis e imbocchiamo la strada asfaltata verso sud: l'ultima difficoltà consiste nel raggiungere Bernezzo sotto il sole del primo pomeriggio. La interrompiamo con un gelato a Vallera, che la rende decisamente meno faticosa. La solita ottava ora di cammino ci riporta al punto di partenza, dove festeggiamo la conclusione della camminata con la freschissima acqua di una fontana.