Hisn
al-Giran è un'espressione araba che letteralmente significa “la
fortezza delle grotte” e si riferisce a una tipologia di villaggi
rupestri berberi, ancora frequenti in alcune zone del Nordafrica e
situati in luoghi impervi. Il cronista arabo Ibn al-Athīr,
riferisce che nell’anno 841 una Hisn al-Giran situata nel
territorio di Enna, costituita da una quarantina di ambienti, venne
saccheggiata in occasione di una gualdana musulmana. Nato sulle rive
del Tigri e vissuto fra il XII e il XIII secolo, Ibn al-Athīr
fu storico e biografo, autore de Il libro perfetto sulla storia,
un compendio in forma annalistica della storia universale dalla
creazione ai tempi dell'autore; la parte che riguarda la Sicilia e la
Spagna fu tradotta in francese da Fagnan alla fine dell'Ottocento.
L'episodio della Hisn al-Giran ennese venne ripreso
dall’arabista palermitano Michele Amari nella sua Storia dei
Musulmani di Sicilia pubblicata fra il 1854 e il 1872. Negli
stessi anni Amari si impegnò nella vita politica italiana, prima
come diffusore delle idee mazziniane, poi come ministro di Garibaldi
nella Sicilia del 1860 e infine come ministro della Pubblica
Istruzione del Regno d'Italia dal 1862 al 1864. Razionalista e positivista, sostenne la
laicità dello Stato e l'importanza delle virtù civili.
Calascibetta
Nel
2011 Hisn al-Giran è stata scelta come nome dell'associazione
culturale fondata a Calascibetta, a un paio di chilometri da Enna, da
un gruppo di giovani laureati, liberi professionisti e studenti
universitari. L'espressione si adatta bene, infatti, al Villaggio
Bizantino di Vallone Canalotto, un luogo che per tipologia di
insediamento e di ambienti rilevati dagli archeologi ricorda quello
citato da Ibn al-Athīr.
Il sito è curato
dall'associazione, che propone una densa escursione con l'archeologo Gianluca Rosso, guida ambientale escursionistica: un'esplorazione storica,
antropologica e naturalistica. Si tratta di un luogo che riassume
millenni di presenza umana: dapprima vennero scavati i siti funerari
preistorici, man mano allargati dai fruitori successivi, greci, romani, bizantini e arabi (di cui si può ammirare un qanat, capolavoro di
ingegneria idraulica, ancora in funzione). Per secoli, poi, sono
stati i pastori a sfruttare le grotte che un tempo erano state
necropoli e chiese. Il nucleo principale è stato utilizzato da una comunità fino agli anni
Sessanta del secolo scorso, l'antica chiesa è stata abitata da una famiglia fino agli anni Ottanta. I barbagianni e gli allocchi ci vivono
ancora.
Nella Tuscia, l'altopiano
tufaceo è attraversato da solchi profondissimi scavati dai fiumi.
Qui gli etruschi scavarono e modellarono le ripide scarpate per
realizzare i loro imponenti monumenti sepolcrali. Anche qui i vani
delle necropoli e delle sepolture sono stati nei secoli riutilizzati,
almeno nei luoghi più accessibili. Quelli più impervi sono stati
riscoperti dal fervore archeologico internazionale un secolo fa. A
Norchia, una magnifica necropoli etrusca che attirava i viaggiatori
europei sta nuovamente sparendo, abbandonata all'incuria umana e al
vigore della natura.
Trovarla
è già una caccia al tesoro, gratificante per chi ama questo genere
di giochi ma che di certo non favorisce l'arrivo di visitatori. A
partire da Vetralla ci si può affidare alle indicazioni delle
bariste e dei loro disponibili clienti. Lungo il tragitto (sulla SS 1
bis, ovvero l'Aurelia bis), un paio di cartelli illudono il
viaggiatore, ma la strada asfaltata a cui guidano termina in uno
spiazzo dove si trovano rifiuti abbandonati invece che indicazioni. A
questo punto, si dubita di aver sbagliato strada. A me è andata
bene, perché sono arrivati proprio in quel momento tre visitatori
esperti del luogo, dai quali ho saputo che si deve puntare verso un
rudere che si scorge in lontananza, camminando su una stradina
sterrata che conduce all'ingresso della necropoli (dotato di pannello
informativo).
Da
quel punto, si possono seguire le tacche bianche e rosse di un
sentiero, che attraversa la necropoli e scende a un fosso dal quale
si possono ammirare la grandiosità dell'opera etrusca, degna di un
sito precolombiano dello Yucatan, ma anche constatare l'avanzata
della vegetazione che la sta ricoprendo.
Il sentiero risale sulla
sponda opposta e conduce a un'altura
tra i fiumi Pile e Biedano, dove si trovano i
ruderi medievali di un castello (quelli che danno la direzione
all'inizio dell'esplorazione) e i resti della
chiesa di San Pietro, risalente al dodicesimo secolo. Di quest'ultima
resta in piedi parte dell'abside, a cui si accede da un'apertura
sagomata sulla forma umana.
Oltre
alle pareti e alla facciata, è crollato anche il pavimento, per cui
ci si ritrova nella cripta, che ora costituisce con l'abside un unico
fondale. A
qualche decina di metri, si incontra una quercia che in passato avrà
garantito ombra e riparo ai frequentatori della chiesa.
A
poche decine di chilometri di distanza da Norchia in direzione est,
sempre sulla riva del Biedano, su un'altra lingua di terra che
termina a testa di vipera, elevata rispetto ai corsi d'acqua che la
lambiscono, sorge Barbarano Romano. Anche in questa località si
trova un'importante necropoli etrusca, quella di San Giuliano. Il
visitatore incontra un diverso approccio ai beni ambientali e
culturali: già negli anni Ottanta l'Amministrazione comunale si
adoperò affinché venissero tutelati attraverso la creazione del
Parco Regionale Marturanum,
dal nome dell'antica città edificata nella zona. L'attuale sindaco
Rinaldo Marchesi, poi, sta ottenendo consistenti fondi che vengono
convogliati verso il patrimonio culturale del paese. Ogni mattina
sono aperti il centro visite del Parco, presso il
Museo Naturalistico "Francesco Spallone", e il Museo delle Necropoli Rupestri (il secondo grazie alla
presenza delle volontarie dell'Associazione Barbarano Cultura). Sono
entrambi ottime introduzioni all'esplorazione della zona e forniscono
una buona carta dei sentieri.
Le
tombe più antiche risalgono al periodo orientalizzante della storia
etrusca (VII secolo a.C.), precedenti quindi quelle di Norchia, che
appartengono al periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.). Del VI
secolo a.C. sono le tombe definite “palazzine” e quelle “a
portico”.
La
tomba più rappresentativa è quella del Cervo, così chiamata perché
al suo esterno è visibile un bassorilievo che raffigura una scena di
lotta tra un cerco e un lupo.
Un
intervento di recupero svolto nel 2015 dal Parco
Regionale Marturanum
(che ha adottato il bassorilievo come simbolo) permette di apprezzare
pienamente la struttura “a dado” visibile anche a
Norchia: il tufo viene scavato dall'alto, in modo che la tomba
risulti staccata dalla parete per tre lati (mentre il quarto, la
facciata, è ricavato dalla parete della scarpata). Una tecnica che
si avvicina quella delle chiese etiopi di Lalibela.
Anche
a San Giuliano si trova una chiesa medievale, omonima, coeva del San
Pietro di Norchia.
Nell'area
archeologica, tra Barbarano e Caiolo, si sviluppano 14 sentieri ben
segnalati. Per visitare tutti i punti di interesse, si possono
percorrere in quest'ordine, partendo dall'area attrezzata di Caiolo:
12-10-9-11-8-6-4-67-9-13-14.