lunedì 31 gennaio 2022

Da Randazzo a Catania

 

Cammino nel centro storico di Randazzo sotto un cielo cupo che si accompagna al colore della pietra lavica da cui e con cui case e chiese sono state tirate su.


Alle spalle della città, 'a Muntagna. Fuma, beata e innevata.

È qui che Empedocle ha formulato la sua teoria dei quattro elementi mentre era alla ricerca dell'archè. Qui il fuoco sale dal centro del pianeta e quando incontra l'aria si fa terra. È l'unione di Gea e Urano, da cui appunto nacque la ninfa Etna. Poi 'a Muntagna trattiene le nubi e le obbliga a farsi scaricare addosso la pioggia. Un'altra eiaculazione di Urano, incestuosa stavolta, da cui viene la fertilità delle pendici dell'Etna.

A Randazzo salgo su un treno della Ferrovia Circumetnea - una linea entrata in funzione nel 1895 - con il quale percorro quelle pendici per scendere a Catania.

La corsa termina nella parte settentrionale della città, alla stazione Borgo, che viene utilizzata anche come deposito della Ferrovia.




Uscito dalla stazione, imbocco via Caronda in direzione sud. In una delle sue prime traverse, via Passo di Aci, si trova Cartura, un laboratorio d'arte che a partire dal recupero di «carta e spazzatura» sforna meraviglie e che si presenta così: «Cartura è una realtà immaginata che si racconta senza parole in un tempo mai perduto. Cartura è un luogo che a volte si dimentica di sé e si lascia tentare da quello che potrebbe essere, certi giorni si abbandona al suo desiderio a tal punto che tutto si trasforma in spettacolo, tra le tende nere il buio si adagia morbido, all'aprirsi del sipario ogni cosa perde i suoi tratti e in un attimo Cartura diventa teatro. Spesso immagina di farsi bella, di indossare nuove vesti e diventare altro ancora. Cartura adesso è un'isola che sogna di perdersi per mare. Il suo mondo è un planisfero di carta che non teme né acqua né fuoco, il suo mare è un grande lago su cui pattinare con la leggerezza di un sussurro. Cartura è un'Isola».


Dentro Cartura si sta più vicini alla luna, e qualcuno riesce anche a toccarla.


In via Caronda si capisce che Catania è ancora una città in cui lavorano gli artigiani. Man mano che ci si avvicina al centro, e se si cammina anche nelle vie traverse, si incontrano sartorie, coltellerie, torrefazioni, mobilieri, materassai, restauratori, un parruccaio e anche un pittore.

Esauritasi ormai via Caronda, nel quartiere degli artigiani si apre una piazza sovrastata dalla chiesa di Santa Maria Annunziata al Carmine. Qui si tiene un mercato quotidiano, la Fera 'o Luni, dove si ritrova la forza vitale dell'Etna: emerge a valle come acqua da una risorgiva, e si esprime nelle frutte e nelle verdure disposte sui banchi, nei tagli di carne che i macellai affettano per i clienti, nelle grida dei venditori.

Al tempo della Magna Grecia, a Catania i disertori venivano puniti esponendoli per tre giorni sulla piazza del mercato in abiti femminili. Lo aveva deciso Caronda, il legislatore del VI secolo a.C. che i catanesi paragonano a Dracone e Licurgo. Le sue leggi vennero commentate e lodate da Aristotele. La leggenda che si tramanda vuole che, presentatosi inavvertitamente armato all'assemblea mentre una legge da lui fissata prevedeva la pena di morte per tale gesto, si sia trafitto con la propria spada in ossequio alla legge.

Le frutte e le verdure del mercato si ritrovano nelle nature morte iperrealiste di Salvatore Grasso esposte al Museo Arte Contemporanea Sicilia, in via dei Crociferi. Museo nel senso migliore del termine, ovvero casa delle Muse, in cui si vedono opere davvero contemporanee (tutte del nostro secolo) che permettono di conoscere artisti eccellenti seppur non celebri, come Marco Condrò e Emanuele Dascanio. In linea con il tono ancora prevalente della città, che vive nel presente e non si è trasformata in un museo nel senso negativo, cioè una raccolta di antiche glorie imbalsamate e offerte allo sguardo di turisti insicuri che hanno bisogno di placare le proprie ansie con nomi di luoghi e artisti di fama planetaria. Salvatore Grasso, nato nel paese etneo di Santa Venerina, vive a Zafferana Etnea e pertanto conosce il lato mortifero della Muntagna: lo prova il suo dipinto del 2016 intitolato Senso di precarietà.






lunedì 24 gennaio 2022

La Seconda guerra mondiale vista da Malta

 


Nel 1935, quando Vittorio Emanuele III, Mussolini e la loro cricca di generali e profittatori guerrafondai diedero il via all'invasione dell'Etiopia, le autorità militari britanniche rinforzarono le difese della colonia di Malta, ritenendola a rischio di attacchi aerei e sottomarini.

Si sbagliarono soltanto rispetto alla tempistica: i bombardamenti aerei italiani iniziarono nel giugno del 1940, dopo la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna. Il primo raid della Regia Aeronautica colpì Malta l'11 giugno alle 6,55 del mattino: tre bombe caddero sul forte di Sant'Elmo, uccidendo sei militari britannici. A partire dal 14 gennaio 1941, ai bombardieri italiani si aggiunsero quelli tedeschi. La capitale Valletta e le cittadine circostanti, fra le quali Senglea (L-Isla) e Vittoriosa (Birgu), vennero devastate nei mesi seguenti.

Il centro storico di Valletta dal forte di Sant'Elmo

Senglea (L-Isla) da Valletta

La «Domenica del Corriere» dedicò all'assedio di Malta la copertina del numero del 25 gennaio 1942, sulla quale compare una veduta del porto di Malta in cui le navi britanniche vengono colpite e affondate da un nugolo di aerei nazifascisti; sullo sfondo, il centro storico di Valletta in fiamme. Nello stile che da molti anni, già ben prima del fascismo, caratterizzava le ignobili copertine militariste e colonialiste del settimanale, la guerra è presentata come uno spettacolo. La roboante didascalia recita: «L'offensiva aerea su Malta. Giorno e notte gli aeroplani dell'Asse attaccano la base inglese del Mediterraneo, tempestando di bombe gli impianti del nemico e affondando o danneggiando le navi che si trovano nei porti». Non sono raffigurati gli esseri umani vittime dei bombardamenti, forse per evitare ai lettori un barlume di riflessione sulle conseguenze della violenza.

Nel solo mese di aprile 1942, gli aerei dell'Asse sganciarono 6.727 tonnellate di bombe su Malta, causando la morte di 339 civili e 208 militari.

Privi di rifornimenti a causa del blocco navale nazifascista, i maltesi rimasero a corto di cibo. A partire dal gennaio 1942, il governo decise di raccogliere fra i cittadini i generi alimentari in loro possesso e convogliarli a cucine comunitarie (le “Victory Kitchens”), alle quali poi la popolazione si recava per ricevere i pasti. Un anno dopo, le cucine comunitarie erano 170 e preparavano i pasti per oltre 175.000 persone (su un totale di circa 250.000 abitanti dell'arcipelago).

Fu solo nel novembre del 1942 che l'assedio si concluse, dopo che, con lo sbarco degli Alleati in Marocco e Algeria (e il contrattacco dei sovietici a Stalingrado), le sorti della guerra nel Mediterraneo si volsero a loro favore. I convogli di rifornimenti angloamericani cominciarono a raggiungere Malta illesi. I bombardamenti avevano ucciso in tutto circa 1.300 civili e distrutto 30.000 edifici, tra pubblici e privati. Per anni, i paesaggi che per secoli avevano attirato lo sguardo di viaggiatori e artisti erano stati violentati dalla presenza di navi da guerra, bombardieri, esplosioni, postazioni contraeree, e soprattutto si erano trasformati da luoghi di bellezza in teatri di morte.

Nel luglio 1943, gli Alleati insediarono a Malta il comando dell'Operazione Husky, cioè il loro sbarco in Sicilia. Morte e distruzione vennero trasferiti su un'altra isola.

Malta ha allestito due ottimi musei dedicati alle vicende della Seconda guerra mondiale che si sono svolte sull'isola: il National War Museum, ospitato nel forte di Sant'Elmo, e le Lascaris War Rooms, le sale sotterranee dalle quali vennero diretti prima la resistenza all'attacco italo-tedesco e poi lo sbarco degli Alleati in Sicilia.  






Alla loro visita si può far seguire quella del Museo dello Sbarco in Sicilia, che si trova a Catania nel complesso culturale Le Ciminiere (immediatamente a nord della Stazione Centrale, in viale Africa).