Dal binario 1 della
stazione di Pistoia partono i treni per Porretta Terme. Viaggiano
sulla “Porrettana”, linea inaugurata nel 1864, costruita per
collegare Bologna a Pistoia ovvero unire la rete dell'Italia
settentrionale con quella toscana attraverso l'Appennino
tosco-emiliano. Distrutta dai tedeschi durante la ritirata dalla
linea Gotica, venne rapidamente ricostruita e riaperta già nel 1947.
Attualmente il collegamento è spezzato in due tratte e chi parte da
Pistoia deve cambiare a Porretta Terme per raggiungere Bologna. La
prima tratta richiede 50 minuti di viaggio e permette di godere dal
treno del piacere, non frequentemente accessibile in Italia, di
salire di quota in un ambiente montano e osservare paesaggi notevoli.
Lasciata Pistoia, il
treno entra nella valle Ombrone e dopo pochi minuti le viste si fanno
attraenti. Affacciarsi al finestrino per ammirare il panorama fu
fatale, il 18 settembre 1923, a un viaggiatore inglese, William
Pearson, che cadde per l'apertura accidentale della porta dello
scompartimento. Soccorso da un gruppo di operai che lavoravano sulla
ferrovia, venne portato alla vicina villa dei conti Corsini, nella
frazione San Felice. Ricoverato all'ospedale di Pistoia, vi morì una
settimana più tardi per le lesioni spinali subite. Pearson fu
cremato e le ceneri vennero poste in una tomba nel cimitero comunale.
La giornalista fiorentina Francesca Cecconi ha indagato su William
Pearson: originario di Liverpool, si trasferì in India nel 1907;
lavorò inizialmente come insegnante di scienze naturali, quindi
conobbe il poeta Rabindranath Tagore, di cui divenne il segretario
personale. Cecconi ha pubblicato nel numero 25 della rivista
Erodoto108 i risultati della sua indagine, che l'ha condotta a
scoprire anche che nel 1935 Tagore venne a Capostrada, in provincia
di Pistoia, in visita ai coniugi che si erano presi cura di William
Pearson dal 18 al 25 settembre 1923: Angelo, medico condotto, e Mary,
inglese e infermiera. Si trattò di una visita privata, di cui non
c'è traccia nei giornali dell'epoca; Cecconi ne ha trovato le
tracce, una serie di fotografie, letteralmente in fondo a un baule
dimenticato in una polverosa soffitta.
La “Porrettana” è
ricca di soluzioni ingegneristiche di pregio: 35 sono i ponti e
viadotti, e 47 gallerie fra cui le due a tornante fra Piteccio e
Castagno, purtroppo invisibili durante il viaggio.
Viadotto di Piteccio prima del 1900 (foto Alinari)
La terza fermata, dopo
Pistoia Ovest e Corbezzi, è Castagno di Piteccio, dove si trova una
stazione minuscola e circondata dal bosco. Un cartello avvisa i
viaggiatori che si trovano già a 500 metri di altitudine rispetto ai
65 di Pistoia.
Dopo la stazione di San
Mommè, una galleria permette al treno di passare dalla valle
dell'Ombrone a quella del Reno. Si sbuca dal traforo a Pracchia, dove
si raggiunge il punto più alto del percorso.
Fino al 1965, partiva
da Pracchia un'altra linea ferroviaria, la Ferrovia Alto Pistoiese,
diretta a San Marcello Pistoiese e Mommiano. La stazione e la sua
ampia zona dei binari suscitano oggi una sensazione di abbandono e di
nostalgia per un'epoca di intensi traffici passeggeri e merci.
Iniziata la discesa, il treno entra in Emilia e costeggia per tratti
abbastanza lunghi il Reno. La costruzione di una ferrovia provoca
spesso la nascita di centri abitati: è il caso di Molino del Pallone
e Ponte della Venturina.
Ultima stazione:
Porretta Terme.
Nella piazza Santa
Maria della Pietà di Prato, di fronte all’omonima chiesa, si può
vedere il monumento che la città ha dedicato a Gaetano Magnolfi.
(foto di Massimiliano Galardi)
Nato a Prato nel 1786,
divenne intorno ai quarant'anni uno dei maggiori imprenditori pratesi
del suo tempo. Nel 1830, ottenuta l'approvazione del granduca
Leopoldo II, fondò la Cassa di risparmio cittadina e da quel momento
si dedicò a numerose attività filantropiche: la direzione delle
scuole di carità per ragazze di umile estrazione, la creazione del
primo asilo femminile della Toscana (ispirato dal lavoro di Ferrante
Aporti), la costruzione di un orfanotrofio. Quest'ultimo, inaugurato
nel 1837 in locali annessi alla sua abitazione, venne trasferito
l'anno successivo nell’ex convento della Pietà, già soppresso dal
granduca Pietro Leopoldo nel 1786.
Leopoldo II sovvenzionò
la ristrutturazione dell'edificio e dispose che dal patrimonio
ecclesiastico della città si traesse ogni anno una somma per
finanziare l'orfanotrofio, ma per alcuni anni i costi vennero per la
maggior parte coperti da Magnolfi stesso. Una lapide posta nel
corridoio d'ingresso dell'ex convento ricorda che nel 1841, una
delegazione degli scienziati italiani riuniti a congresso a Firenze,
si recò a Prato per esprimere stima e ammirazione a Magnolfi.
Nel 1845, Magnolfi e un
gruppo di imprenditori chiesero a Leopoldo II l'autorizzazione a
costruire una ferrovia che collegasse Firenze a Pistoia. Il
filantropo fece inserire nell'atto costitutivo della società anonima
della strada ferrata “Maria Antonia”, creata per concessione del
granduca allo scopo di gestire la ferrovia, una clausola che
obbligava la società a corrispondere annualmente all'orfanotrofio
una rendita di trentamila lire. Inoltre, nei locali dell'ex convento
si allestì un'officina per la fabbricazione e la manutenzione del
materiale rotabile.
La tratta Firenze-Prato
venne inaugurata il 2 febbraio 1848, alla presenza del granduca. Non
altrettanto celere fu la società anonima nel versare le somme dovuto
all'orfanotrofio, a cui il denaro giunse solo nel 1852. Magnolfi fu
anche costretto ad accettare la chiusura dell'officina.
Dal 2003 l'ex
orfanotrofio, attivo fino al 1978, è diventato un centro culturale
che si occupa di
formazione, produzione e ricerca
teatrale
e musicale; al suo interno è ospitato un ostello che mette a
disposizione dei viaggiatori gli spazi un tempo adibiti a celle del
convento.