È l'estate del 1963. All'aeroporto di Ginevra, Jean si imbarca su un
volo per Roma. La visiterà per la prima volta, benché siano
vent'anni che desideri farlo. Era uno studente universitario quando
Roma venne bombardata dagli Alleati prima e straziata dai
nazifascisti poi. A Ginevra la guerra arrivava solo attraverso i
giornali e i cinegiornali, e non era entrata più di tanto nelle vite
quotidiane degli svizzeri. Era diventata, però, l'interesse
principale per Jean: aveva partecipato alle manifestazioni
studentesche contro la guerra e poi, in cerca di attività più
concrete, aveva collaborato con le associazioni (poche) che aiutavano
i rifugiati ebrei (pochi). Quelli sono rimasti, da allora, per lui i
romani: persone civili in fuga dalla manifestazione più eclatante
dell'irrazionalità umana. E gli italiani sono quelli che ha visto in
Roma città aperta, in Sciuscià e, più recentemente,
in Rocco e i suoi fratelli.
Cosa
si aspetta ora da questo viaggio, diciotto anni dopo la fine della
guerra? Capire, lui che non l'ha vissuta, cosa sia la guerra?
Sentirsela raccontare da chi l'ha combattuta? Saranno diversi questi
racconti da quelli dello zio francese che era stato in trincea nella
prima guerra mondiale? Capirà perché era scoppiata? Tornerà più
saggio anche se, forse, più triste?
Mentre
le domande aumentano, l'aereo atterra a Roma. Dopo avere contrattato
come ha imparato dai racconti dei viaggiatori, Jean prende un taxi
per il centro. Un lusso che a Ginevra non può permettersi, ma anche
un tentativo di estorcere le prime informazioni. Stranamente, però,
il tassista è taciturno.
Jean
trascorre cinque giorni a Roma, alternando le visite dei musei a
lunghe passeggiate. Nelle vie del centro non sembra esserci traccia
della guerra, così come del fascismo e pure dell'antifascismo. È
scoppiata una forma molto concreta di pace, fatta di gente a
passeggio o incollata alle vetrine, di ristoranti e gelaterie
affollati di turisti stranieri. È
arrivato il benessere. Il boom economico, lo chiamano gli italiani.
Non ha colpito tutti, però. Non le mendicanti di fronte alle chiese,
non gli anziani che cercano di vendere chincaglierie negli androni
dei vecchi palazzi.
Per
prima cosa, Jean ringrazia i romani per non essersi fatti travolgere,
dopo la guerra, da rancori e vendette, e per avere dimostrato che si
può cominciare a vivere pacificamente ed essere una città
cosmopolita anche dopo una guerra lunga e per di più "civile".
Certo, business is business, e conviene essere una capitale del
turismo piuttosto che una capitale dell'odio. Tuttavia, non tutti lo
fanno. Sarà questo, si chiede, il segreto della pace: il business?
Non si dice, però, lo stesso della guerra? E se un giorno il
benessere finirà, tornerà la guerra?
Siti
archeologici e caffè traboccano di americani e di tedeschi, Jean li
guarda e di ognuno si chiede se sia stato uno di quelli che
sganciavano le bombe o fucilavano i civili. D'altra parte, di ogni
romano almeno diciottenne si chiede come abbia vissuto gli anni della
guerra. Ma, ovviamente, nessuno ha la risposta scritta in fronte.
Visita mostre e monumenti, ma ovunque sembra che le ragioni e
l'essenza della guerra vengano dati per scontati. Lo colpisce un
cameriere che gli dice che ogni anno va a deporre un mazzo di fiori alle Fosse
Ardeatine. Al Colosseo la guida gli racconta che porta l'auto a
riparare da un meccanico nostalgico del fascismo, ma che costa meno
degli altri. Il proprietario della pensione in cui alloggia non è
avaro di racconti, che riguardano per lo più le difficoltà
economiche patite negli anni di guerra, i razionamenti, il mercato
nero, gli orti improvvisati. Ascoltandolo, Jean comincia a pensare a
Robinson Crusoe: l'albergatore sorride sfoggiando la propria abilità
nell'arte di arrangiarsi e la guerra è soltanto lo sfondo che la fa
risaltare. Strana bestia l'uomo, che trova il modo di sfogare in ogni
situazione il proprio desiderio di primeggiare. Ancora più
misteriose rimangono, per Jean, le menti degli assassini; osserva a
lungo alcune foto che ritraggono nazifascisti sorridenti dopo aver
catturato o ucciso dei partigiani. Non sono sorrisi di sadici, ci
sono piuttosto semplicità e leggerezza, più che perversione, nei
loro sguardi. Come è possibile? Non si rendevano conto di ciò che
stavano facendo? O si ritenevano i giocatori vittoriosi di un gioco
legittimo? Ce ne sono ancora, fra i romani, di potenziali assassini?
Quale scintilla potrebbe accenderli? La propaganda politica? Le
difficoltà economiche? I rancori personali? Una generica
frustrazione? L'invidia o la gelosia?
Jean
compra una copia del Times in cui trova un articolo sulla
politica italiana: la transizione al sistema democratico non può
dirsi compiuta, si legge, perché i principali partiti non sono
realmente soggetti al giudizio degli elettori, in quanto ognuno può
contare sul proprio sicuro bacino di voti, indipendentemente
dall'operato al governo o all'opposizione. La pace è, allora, nelle
sole mani dei governanti? E se scegliessero di tornare alla guerra?
Chi li potrebbe fermare? E da noi in Svizzera, comincia a chiedersi,
come stanno le cose? Siamo davvero diversi? Abbiamo represso del
tutto l'impulso a uccidere, stuprare e saccheggiare? Cosa
succederebbe se i cantoni tedescofoni aggredissero quelli francofoni,
o viceversa? La paura di perdere la vita non è mai stata un
deterrente sufficiente contro le guerre, perché mai dovrebbe esserlo
il timore di perdere la ricchezza?
L'ultima
sera, Jean si siede in un caffè all'aperto di fronte alla fontana di
Trevi, dominato dalla malinconia per la partenza imminente. Non ha
trovato le risposte che cercava, anzi, nuove domande si sono
accumulate. Una su tutte: se fossi stato, vent'anni fa, un americano
o un tedesco, come mi sarei comportato?
Prova
a distrarsi ammirando le donne, bellissime e consapevoli di esserlo,
desiderate a distanza da uomini incerti. Sembra che la vita sia per
tutti spensierata. Dolce, come ha detto Fellini tre anni prima. Per
lui, invece, troppo rimane incomprensibile. Ha bisogno di ricondurre
il mondo ad una qualche forma di ordine. Comincia a scrivere una
lettera alla donna che ama, calcolando che lei, a Buenos Aires, la
leggerà dopo un paio di settimane.