lunedì 16 aprile 2018

Sacco e Vanzetti 90/40 - La comunità italoamericana e l'élite del New England

Nel 2017 si è ricordato un duplice anniversario:
novanta anni fa, il 23 agosto del 1927, il calzolaio pugliese Nicola Sacco e il pescivendolo piemontese Bartolomeo Vanzetti, furono ingiustamente messi a morte sulla sedia elettrica per un crimine che non avevano commesso;

quaranta anni fa, nel 1977, Michael Dukakis, all’epoca governatore del Massachusetts, riconobbe ufficialmente l’errore giudiziario e riabilitò la memoria dei due italiani.


Il testo seguente è la traduzione di materiali presentati ad una conferenza sul caso Sacco-Vanzetti tenutasi alla Public Library di Boston nell'ottobre 1979. Li mise a disposizione dello scrivente il professor Marcello Garino, rappresentante negli anni '70 del Comitato Provinciale Sacco e Vanzetti di Cuneo, che nel 1977 aveva accompagnato negli Stati Uniti la sorella di Bartolomeo Vanzetti, Vincenzina, e che partecipò alla conferenza del 1979. Le relazioni vennero pubblicate nel 1982 in Sacco-Vanzetti: Developments and Reconsiderations - 1979. Conference Proceedings, Boston, Trustees of the Public Library of the City of Boston - 1982; la pubblicazione è consultabile gratuitamente sul sito https://archive.org 



Alla maggioranza degli italoamericani sembrava evidente che Sacco e Vanzetti fossero perseguitati semplicemente perché erano due immigrati italiani. Per questo motivo il processo fece nascere una certa unità fra gli immigrati italiani con idee politiche diverse.

All’interno della comunità, tuttavia, le opinioni e gli interessi differivano e l’esame delle reazioni al caso dei due anarchici può servire a chiarirli.
I cosiddetti prominenti, che rappresentavano il settore più potente, erano fortemente preoccupati da due aspetti del caso: l’impatto sul futuro dell’immigrazione dall’Italia e le idee politiche di Sacco e Vanzetti. Le imminenti restrizioni all’immigrazione erano percepite come una seria minaccia sia dai prominenti che dal Governo italiano. La prima legge in materia, il Quota Act, fu promulgata nel 1921 e la seconda nel 1924; entrambe ridussero il numero di italiani ammessi negli Stati Uniti. Ai prominenti era chiaro che le gesta degli anarchici e i loro effetti sull’opinione pubblica americana avrebbero potuto giustificare ulteriori restrizioni e si affrettarono a prendere le distanze. Un esempio di tale atteggiamento è il telegramma che i Figli d’Italia del Massachusetts inviarono al Governatore Fuller dopo che questi rifiutò la grazia a Sacco e Vanzetti:

“Riaffermiamo la nostra sincera fiducia nell’integrità e imparzialità che avete dimostrato verso tutti gli abitanti dello Stato, e vi assicuriamo la nostra amicizia e devozione.”1

L’atteggiamento verso la questione dell’immigrazione, comunque, non era del tutto omogeneo all’interno della comunità. Per esempio, Angelo Faggi, un anarchico espulso durante i “Red raids”, scrisse in un articolo pubblicato nel 1920 dal settimanale anarchico milanese Lotta di Classe: “Dobbiamo far sapere ai nostri lavoratori tutte queste verità, perché non emigrino negli Stati Uniti, dove troverebbero soltanto delusione, umiliazioni e persecuzioni.”
La maggior parte delle lettere e dei resoconti dagli Stati Uniti pubblicati in quegli anni dalla stampa anarchica italiana esprimeva la stessa amarezza. Gli italiani espulsi o perseguitati che tornavano in Italia denunciavano immancabilmente l’immagine dell’America presentata dai giornali e dalle agenzie ufficiali. Non solo non c’era richiesta di manodopera, accusavano, ma tutto ciò che l’America offriva erano disoccupazione, desolazione, violenza e povertà.
Ovviamente, anche le idee politiche di Sacco e Vanzetti divisero la comunità. La stampa italoamericana legata ai settori più integrati e cooptati della comunità, infatti, sviluppò un’analisi a dir poco originale del radicalismo. L’idea era che chi non accettava i valori e lo stile di vita americani non fosse sano di mente. Il Carroccio, una rivista italiana pubblicata a New York, pubblicò nel febbraio 1920 un articolo intitolato “Il radicalismo e gli immigrati stranieri” in cui si poteva leggere: “Gli immigrati stranieri che vogliono sovvertire le istituzione americane devono essere trattati come paranoici e megalomani.” Un altro esempio si trova ne La Gazzetta del Massachusetts del febbraio 1919, che metteva in guardia i suoi lettori dai “maniaci politici bolscevichi o dell’IWW.”
prominenti, in conclusione, mascherarono la loro decisione di non difendere Sacco e Vanzetti sotto un’apparente difesa degli immigrati italiani, proprio mentre le autorità americane utilizzavano lo status di immigrati dei due imputati per screditare i loro ideali e, più in generale, il dissenso dei radicali e dei lavoratori.

   (Luisa Cetti, Università di Milano)


Barbara Miller Solomon, della Harvard University, prima di occuparsi del caso Sacco-Vanzetti, aveva compiuto uno studio sulla vecchia élite del New England, i “Bramini”, come essi stessi amavano definirsi, o i “Veri Bostoniani”, come altri li hanno chiamati. In Antenati e Immigrati ha tracciato lo sviluppo del movimento restrizionista contro l’immigrazione fra quei Bramini che sostennero il concetto della superiorità razziale degli Anglo-Sassoni per giustificare la fine della politica di libera immigrazione degli Stati Uniti. Ci fu una minoranza di Bramini che sostenne il più antico ideale Yankee di accettazione degli stranieri immigrati in quanto potenziali cittadini Americani. Tuttavia, i Bramini restrizionisti videro le loro richieste accolte nella legislazione anti-immigrazione del 1921 e del 1924. Le posizioni che i diversi componenti di questo gruppo sociale tennero nei confronti del caso Sacco-Vanzetti vanno indagate perchè influirono sul suo sviluppo e sulla sua successiva interpretazione.
I Bramini del New England formavano la “nobiltà” locale, basata sulla discendenza da antiche famiglie Yankee, sebbene alcuni “nuovi arrivati” erano entrati a farne parte attraverso matrimoni o grazie al proprio talento. Tutti si consideravano, ed erano percepiti, come appartenenti ad una casta privilegiata che aveva l’onere di fissare i modelli di comportamento per l’intera comunità. Essi vivevano a Boston, in Beacon e Marlborough Street, o nelle cittadine dei dintorni, e Boston era il centro dei loro interessi economici e culturali. All’inizio del ventesimo secolo essi erano consapevoli dei problemi derivanti dall’industrializzazione, dall’urbanizzazione e dall’immigrazione; ma le aspettative della società democratica erano cambiate e richiedevano un nuovo approccio alle questioni sociali. La filantropia non era più sufficiente per soddisfare la domanda di equità sociale, né per cancellare povertà e privilegi. Mentre la maggioranza dei Bramini si opponeva ai sindacati, la componente liberale ne ammetteva la necessità, arrivando, in alcuni casi, a sostenere alcuni scioperi. I Bramini si divisero in sostenitori e oppositori del suffragio femminile, facendo di Boston un punto di riferimento per entrambi gli schieramenti. Fra i Bostoniani della upper-class dell’epoca, quindi, si trovavano sia i conservatori sia i radicali; tuttavia, alle elezioni presidenziali del 1912 pochi di loro furono fra il milione di Americani che votò per il candidato socialista Eugene Debs. Un numero maggiore appoggiò l’etica riformista di Woodrow Wilson e di Theodore Roosevelt, ma la maggior parte di essi rimase legata al Partito Repubblicano, conservatore, di William Howard Taft.
La Prima Guerra Mondiale non fece che acuire le tensioni fra i Bramini di orientamenti diversi: una parte di essi, infatti, si schierò contro l’entrata in guerra degli Stati Uniti e lavorò perchè si giungesse alla pace al più presto, e altre divergenze sorsero a proposito degli obiettori di coscienza, dei cittadini Americani di origine tedesca e degli altri dissidenti. La fine della guerra non portò l’armonia e Boston non fu immune all’ondata di xenofobia che attraversò la nazione. Le tensioni sociali che l’emergenza bellica aveva fatto rimanere in sospeso esplosero violentemente in tutti i centri urbani industrializzati. A Boston si ebbero degli scontri fra i radicali e la polizia in occasione del Primo Maggio. La paura degli agitatori bolscevichi condusse ai Palmer Red Raids, “spedizioni”, organizzate dal Ministro della Giustizia Palmer, che portarono all’espulsione di migliaia di stranieri negli anni 1919 e 1920. La scarsa tolleranza delle diversità serpeggiante fra le classi colte apparve evidente quando il Wellesley College licenziò Emily Greene Balch, una docente di economia, per la sua partecipazione alle proteste dei radicali contro la guerra. L’appartenenza al gruppo dei Bramini non le fu sufficiente per salvarsi.
Inoltre, nel 1919, in seguito al tramonto della prosperità economica di Boston dovuto alla crisi post-bellica, le aspettative dei lavoratori locali vennero frustrate dalla disoccupazione e dall’inflazione. Una serie di scioperi venne indetta dai dipendenti della compagnia telefonica, delle ferrovie e delle industrie tessili. Nell’autunno del 1919 la situazione degenerò in seguito all’entrata in sciopero dei poliziotti, efficienti ma mal retribuiti; la città fu travolta da un’ondata di violenza finché non intervenne la Guardia Nazionale. I poliziotti che avevano aderito allo sciopero non furono più assunti, ma i cittadini non seppero che, in precedenza, il Commissario di Polizia Curtis aveva deliberatamente ignorato un piano elaborato dal Sindaco Peters e da una commissione presieduta dal Bramino liberale Storrow, piano che avrebbe portato ad un compromesso ed evitato lo sciopero.
Mentre i conservatori conclusero che i poliziotti erano diventati dei “matti bolscevichi”, il ristretto gruppo dei Bramini liberali vide in questo sciopero il segnale della crisi di comunicazione fra le diverse componenti della comunità. Per porre rimedio a questa situazione, John Codman, Elizabeth Glendower Evans e Margaret Shurtleff guidarono la League for Democratic Action, un forum pubblico e indipendente dove tutte le parti del mondo del lavoro potevano esporre i propri punti di vista. Le stesse persone, insieme ad altri Bostoniani, attivarono il Sindacato per le Libertà Civili del New England e, nel 1920, la loro Chiesa Comunitaria non settaria.
Ben presto, però, un nuovo e complesso caso attirò l’attenzione di questi elementi liberali. Il 5 maggio 1920 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, immigrati italiani, anarchici, uno operaio in un calzaturificio e l’altro venditore ambulante di pesce, vennero arrestati a bordo di un tram. I due uomini pensarono di essere vittime di una delle spedizioni di Palmer contro i “rossi”. Chiesero aiuto agli amici anarchici e, prontamente, Aldino Felicani attivò il Comitato di Difesa Sacco-Vanzetti. Un mese più tardi i due vennero formalmente accusati di omicidio.
Alcuni Bramini inziarono a seguire il caso e quando, da maggio a luglio del 1921, il processo richiamò una folla di osservatori, fra di essi spiccò la figura di Elizabeth Glendower Evans. Nei sette anni successivi ella divenne il tramite fra gli anarchici del Comitato di Difesa Sacco-Vanzetti e i simpatizzanti liberali di Boston, e aiutò generosamente il Comitato, sebbene non ne condividesse sempre le strategie. Uno sguardo alle sue precedenti attività può spiegare la sua dedizione a questa causa.
Nel 1920 Elizabeth Glendower Evans era ormai un’esperta sostenitrice di numerose riforme progressiste. Le radici del suo coinvolgimento risiedevano nell’insolita e informale educazione ricevuta. Nata nel 1856 in una famiglia conservatrice, i Gardiner, frequentò la congregazione del liberale Phillips Brooks e meditò di diventare una missionaria prima di conoscere Glendower Evans, suo futuro marito. Questi era un ricco outsider proveniente dalla Pennsylvania, considerato un ribelle dalla propria famiglia per aver frequentato lo Harvard College. Dopo il loro matrimonio, nel 1882, Elizabeth assorbì le idee del marito in materia di religione e società, idee che in seguito sostenne come membro del consiglio di amministrazione delle Scuole Riformate del Massachussets e come innovatrice nella riforma carceraria. William James e Louis Brandeis, intimi amici del marito, scomparso quattro anni dopo il matrimonio, divennero i suoi mentori intellettuali e personali, e i saggi di Ralph Waldo Emerson le sue letture preferite.
La guerra ispano-americana del 1898 destò i primi sentimenti di opposizione di Evans alla politica estera americana. Come William James, era un’anti-imperialista. Un decennio più tardi si interessò alle questioni sociali e, spinta da Brandeis, andò in Inghilterra per studiare il movimento sindacale. Al suo ritorno entrò in contatto con i circoli che si battevano per il suffragio femminile e, dopo aver tenuto un comizio su questo argomento ai cancelli di una fabbrica, comprese l’importanza del suffragio femminile come mezzo per migliorare le condizioni dei lavoratori. Queste attività le fecero incontrare Robert LaFollettes, il quale viveva nel Wisconsin e la mise in contatto con gli attivisti sociali del Midwest.
In seguito concentrò la sua attenzione sui problemi dei lavoratori e condusse la crociata che portò, nel Massachussetts, alla legge sul salario minimo per le donne, la prima degli Stati Uniti. Partecipò ai picchetti della Lega dei Sindacati delle Donne durante uno sciopero a Roxbury nel 1910 e fu attiva a Lawrence nel 1912 e nel 1919, anche se possedeva delle azioni nelle aziende interessate dagli scioperi.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale sconvolse il suo ottimismo riformista, ma presto si unì ad uno straordinario gruppo di donne americane che parteciparono con Jane Addams alla Conferenza dell’Aja nel 1915 per decidere, insieme alle leader delle donne europee, cosa fare per giungere in fretta alla pace. Sebbene Evans ammirasse il Presidente Woodrow Wilson, si oppose alla leva obbligatoria e sostenne con grande riluttanza l’entrata in guerra degli StatiUniti. Dopo la guerra mantenne una relazione personale con Wilson e nel 1921 gli scrisse per esprimere la sua amarezza alla notizia che il Presidente aveva negato la grazia a Eugene Debs, imprigionato per la sua campagna contro la guerra.
Il caso Sacco-Vanzetti era legato a tutte le questioni di cui Elizabeth Glendower Evans si era occupata precedentemente: i diritti dei carcerati, dei lavoratori, degli immigrati, dei radicali, delle donne e degli obiettori di coscienza. Elizabeth Glendower Evans ebbe un ruolo cruciale nella sensibilizzazione dei Bostoniani, poichè si assicurò il sostegno di influenti Bramini e pubblicizzò il processo con la sua presenza e con i suoi scritti. Nei suoi numerosi articoli comparsi su La Follettes Magazine, Survey, Unity e altri periodici, analizzò il caso evidenziando i pregiudizi della corte.
Almeno tre generazioni di Bramini furono divise dal caso Sacco-Vanzetti, ed esso mise alla prova i valori dell’élite del New England, opponendo chi sosteneva il vecchio ordine e la legalità a chi cercava di trascendere le limitazioni per impedire un errore giudiziario.
Evans coinvolse molte donne, le quali, dopo aver seguito il processo, si convinsero che questo non era stato equo. Quelle che approfondirono la conoscenza di Sacco e Vanzetti duranti i sette anni di prigionia credettero, alla fine, nella loro innocenza. Si trattava di donne che guidavano organizzazioni femministe, associazioni di beneficenza e gruppi religiosi, impegnate per i diritti dei lavoratori, per la pace e per i diritti civili. Molte avevano circa quarant’anni, cioè venti o venticinque di meno della sessantacinquenne Elizabeth Glendower Evans e della sua coetanea Alice Stone Blackwell. Blackwell pubblicava il The Woman’s Journal, sosteneva gli Armeni residenti a Boston ed era una socialista ben più radicale della madre, Lucy Stone, abolizionista e pioniera dei diritti delle donne.
Molti dei Bramini espressero le proprie opinioni sul caso soltanto in privato. Fra coloro visibilmente attivi ci furono i membri della League for Democratic Action, come Margaret Shurtleff, madre di sei figli, campionessa di tennis, ex-studentessa del MIT, e Katharine Bowdich Codman, presidentessa dell’Associazione Distrettuale delle Infermiere e moglie di Ernest Codman, un eminente chirurgo che condivideva le idee della moglie e del cugino, John Codman. Seguirono il processo anche dei Bostoniani di adozione. Una di essi era un’amica dei Codman, la dottoressa Alice Hamilton, eminente tossicologa, pioniere della medicina industriale, unica donna alla Facoltà di Medicina di Harvard. Avendo lavorato per vent’anni a stretto contatto con gli Italiani a Hull House, conosceva le idee anarchiche diffuse fra gli immigrati disillusi dall’America. Vi era poi Jessica Henderson, un’ex-imprenditrice che era stata incarcerata per aver manifestato al Boston Common durante una parata in onore del Presidente Wilson. Era una pacifista e, al tempo del processo, era membro del femminista Partito della Donna e capo della Società Anti-Vivisezione. Anche Gertrude Winslow, segretaria della Chiesa Comunitaria era coinvolta, così come Cerise Carmen Jack, moglie di un docente di Harvard, e la sua amica Virginia MacMehan, che si occupavano di diritti civili.
L’inglese dei due prigionieri migliorò notevolmente, in particolare quello di Vanzetti, grazie alle lezioni impartite dalla signora Jack e dalla signora MacMehan. Sacco e Vanzetti ricevettero e lessero libri di storia, filosofia e letteratura americana. Vanzetti trovò e apprezzò un elemento anarchico negli scritti di Emerson. Non abbandonarono mai il loro ideale anarchico, ma avevano un eroe in comune con Evans e Blackwell: Eugene Debs. Chi conobbe i due prigionieri rimase colpito dal loro amore per i familiari e gli amici, e nessuno poté credere che si trattasse di due assassini dal sangue freddo.
Durante i sette terribili anni di detenzione queste donne aiutarono la famiglia di Sacco a sopravvivere e cercarono di confortare in qualche modo i prigionieri, isolati in celle separate per la maggior parte del tempo, portando loro frutti, fiori e libri. Jessica Henderson andò in Italia con la figlia nel 1923 per rassicurare le famiglie di Sacco e Vanzetti circa l’innocenza e l’imminente liberazione dei loro cari. Nel 1927 Gertrude Winslow compì lo stesso viaggio, ma non riuscì ad infondere ottimismo negli ansiosi parenti che incontrò. Nello stesso anno Jessica Henderson, sapendo quanto Vanzetti desiderasse rivedere la sorella Luigia prima di morire, la portò a Boston. Qui, senza avvertire nessuno, condusse l’addolorata signorina Vanzetti dal Cardinale O’Connell, che invitò le due donne per un tè e pregò con loro. Queste donne furono ingiustamente criticate per la loro opera. Ricorrendo ai peggiori stereotipi, vennero descritte come donne “anziane”, “con i capelli bianchi”, sentimentali, screditando, in questo modo, le loro opinioni sul controverso caso.
Non fu difficile per queste donne, che pure non erano esperti avvocati, riconoscere le strategie impregnate di pregiudizi del giudice Thayer e del Procuratore Distrettuale Katzmann. Il giudice era consapevole dell’importanza della presenza delle donne, ed un giorno mandò a chiamare Lois Rantoul, che rappresentava la Federazione delle Chiese di Boston. Quando egli le chiese cosa pensasse del processo, Rantoul rispose di non aver “udito prove sufficienti per convincerla che gli imputati fossero colpevoli”. Egli si mostrò sorpreso e infastidito, e le assicurò che sarebbe tornata da lui pensando il contrario dopo aver ascoltato gli interrogatori e le argomentazioni dell’accusa. Quando il giudice la convocò una seconda volta, però, lei sottolineò che la testimonianza del datore di lavoro di Sacco, chiamato dalla difesa, aveva dimostrato che Sacco godeva presso di lui di una buona reputazione. Il giudice ignorò l’osservazione, sostenendo che Kelley, il datore di lavoro, aveva detto in un’altra occasione che “Sacco era un anarchico e non sapeva che farsene di lui”. Nel rapporto che scrisse per la sua organizzazione, nonché in un affidavit redatto nel giugno 1926 e in una dichiarazione resa al Comitato Consultivo de Governatore, Rantoul affermò che aveva trovato l’osservazione del giudice “non vera”.
Il Foro di Boston sapeva che la correttezza del processo era messa in discussione da più parti, ma i suoi leader si mostrarono indifferenti od ostili e cercarono di tenersi alla larga dal caso. L’avvocato William Thompson si rifiutò nel 1921 di assumere la difesa degli imputati, ma due anni dopo, seppur con riluttanza, entrò nel caso e ne rimase totalmente assorbito. Il suo atteggiamento verso il caso e, alla fine, verso Sacco e Vanzetti, mutò radicalmente, come scrive John Farwell Moors, un Bramino liberale, membro della Corporazione di Harvard: “Egli era una strana persona da tirare dentro un tale caso. I due imputati, oltre ad essere anarchici, erano due fannulloni. Nessuno avrebbe potuto essere meno comprensivo di lui nei loro confronti. Egli ne parlava con disprezzo quando il caso divenne importante, e con uguale disprezzo definì “sdolcinatezze” le loro esternazioni e “sciocchi sentimentali” la loro eterogenea schiera di sostenitori. Ma una volta entrato nel caso, non si fermò. Ci teneva troppo alla legalità e nutriva un grande rispetto per le procedure legali. Sebbene all’inizio non fosse convinto dell’innocenza di Sacco e Vanzetti, riconobbe che essi non avevano ricevuto il processo equo a cui avevano diritto. “Era un dovere dello Stato del Massachussetts”, egli disse, provvedere a tale processo. Alla fine, poi, Thompson si convinse dell’innocenza dei due uomini, e, alla vigilia della loro esecuzione, si sedette nella cella di Vanzetti, e lo ascoltò come si ascolta un profeta o un santo.” Thompson pagò a caro prezzo la dedizione al caso. Era un brillante avvocato, laureatosi con lode a Harvard, sposato con una donna dell’élite di Boston, e, tuttavia, perse i suoi clienti e venne isolato dai colleghi.
Quando la Corte Suprema del Massachussetts esaminò l’ultimo appello, un numero crescente di persone si preoccupò del caso. Felix Frankfurter, un giovane professore liberale della Facoltà di Giurisprudenza di Harvard, che fino ad allora aveva evitato di farsi coinvolgere, scrisse un brillante articolo che apparve sull’Atlantic Monthly. Egli era da tempo al corrente dei fatti grazie ai Brandeis, e invitò la signora Evans a tenere una lezione sul caso. L’articolo di Frankfurter colpì e fece infuriare il Foro di Boston, e, inoltre, spinse all’azione i cittadini dotati di senso civico e buona volontà. John Farwell Moors ottenne l’appoggio del Vescovo William Lawrence, capo della Diocesi Episcopale del Massachussetts, il quale acconsentì a recarsi, in compagnia di altri rispettabili cittadini, a chiedere l’intercessione del Governatore dello Stato. Rispondendo alla protesta di questi cittadini, il Governatore Fuller ordinò un’inchiesta. Il comitato che nominò comprendeva il Rettore di Harvard Lowell, il Rettore del MIT Stratton e Robert Grant, giudice in pensione e letterato, nonché vecchio amico di Lowell. Benchè non ci fosse un presidente ufficiale, Lowell fu la figura dominante nel comitato. I Bramini di ogni tendenza furono soddisfatti per la nomina di Lowell.
Egli aveva molto in comune con la signora Evans; entrambi si identificavano con il patrimonio culturale del New England, sostenevano la libertà di coscienza e si sentivano in dovere, in quanto membri della classe privilegiata, di servire la comunità. Come Rettore di Harvard, Lowell si sentiva il leader di questa comunità. Non era un uomo in cerca di popolarità, ed era ritenuto un conservatore indipendente ed un difensore dei diritti civili. Sebbene avesse incoraggiato gli studenti di Harvard a servire come volontari durante lo sciopero dei poliziotti, aveva ignorato la richiesta degli ex-alunni di licenziare Harold Laski, un lettore che aveva sostenuto gli scioperanti. Si era, inoltre, rifiutato di agire contro il Professore di Giurisprudenza Zachariah Chafee per le sue interpretazione in senso liberale di alcuni casi collegati ai Red Raids. Nel momento dello scalpore suscitato dall’articolo di Frankfurter aveva messo a tacere i Sorveglianti di Harvard che si erano opposti alla pubblicazione dell’articolo mentre la Corte Suprema del Massachussetts stava esaminando l’appello per un nuovo processo. Ad essi Lowell rispose: “Volevate che Frankfurter aspettasse ad esporre il suo punto di vista dopo l’esecuzione dei due uomini?”
Nonostante questi esempi di apertura mentale, però, le posizioni di Lowell su altre questioni politiche erano ben lontane da quelle dei Bramini liberali. Nel 1916 si era opposto alla nomina di Brandeis alla Corte Suprema degli Stati Uniti, sostenendo che Brandeis non godeva della fiducia del Foro di Boston. Mentre ricopriva la carica di Rettore di Harvard era stato per anni vice-presidente della Lega per la Restrizione all’Immigrazione, con i cui fondatori condivideva l’idea che l’America fosse minacciata dall’influsso di immigranti dall’Europa sud-orientale appartenenti a “razze straniere”. Nei primi anni Venti fece turbò profondamente gli ex-alunni di tendenza liberale proponendo delle restrizioni all’iscrizione di studenti ebrei e provocò l’indignazione dei Bramini di tradizione abolizionista decidendo che i pochi studenti di colore non dovessero vivere con le altre matricole. Lowell non era una persona facilmente catalogabile; non accettava mai le opinioni altrui prima di essersi formato la propria. Tuttavia, gli avvocati della difesa rimasero sorpresi ed increduli di fronte alla mancanza di imparzialità ed accuratezza con cui Lowell condusse i lavori del Comitato. Il Comitato di Difesa di Sacco e Vanzetti fu particolarmente costernato dal fatto che i lavori non fossero aperti al pubblico e alla stampa; inoltre, solo il rapporto del Comitato, redatto da Lowell, venne reso pubblico.
Dichiaratamente, nel rapporto finale - e ancor di più in una precedente versione preparata da Lowell - il Comitato diede un peso notevole alle prove circostanziali contro Sacco e Vanzetti. Fu riconosciuto che le prove contro Vanzetti erano deboli. Durante le audizioni Lowell minimizzò o screditò gli alibi forniti da testimoni italiani. Più tardi egli commentò che gli italiani “trovano sempre degli alibi”.
Forse gli esami balistici compiuti da Goddard a giugno avevano indebitamente influenzato Lowell, tanto da impedirgli di condurre le audizioni con obiettività. Lowell, in ogni caso, si era convinto della colpevolezza di Sacco e Vanzetti, e non mise mai in dubbio il proprio giudizio. John Farwell Moors, che rimase un buon amico di Lowell, disse a Felix Frankfurter che “Lawrence Lowell era incapace di pensare che due italiani potessero aver ragione e la magistratura Yankee avere torto.”
In conclusione, il rapporto del Comitato Consultivo appoggiò il verdetto della corte del giudice Thayer e non vide alcun segno di pregiudizio nel comportamento del giudice o del procuratore distrettuale Katzmann. Alcune lettere private spedite a Lowell da Calvert Magruder, un giovane professore della Facoltà di Giurisprudenza di Harvard, dimostrarono in modo convincente che il rapporto aveva eccessivamente semplificato la presentazione del caso, e che “non aveva afferrato la reale forza delle asserzioni degli imputati.” La maggior parte dei Bostoniani e degli Americani accettò senza riserve le conclusioni di Lowell. Per i Bramini, che avevano creduto nella superiorità della loro leadership morale, il caso provò in modo tragico l’incapacità dei loro leader di ammettere i propri pregiudizi, consci o inconsci che fossero. I Bramini liberali, in particolare quelli della generazione diventata adulta appena prima della Prima Guerra Mondiale, rimasero sconvolti dalle conclusioni di Lowell. Alcuni, come Catharine Huntington, nota regista teatrale, scrissero a Lowell per esprimergli la loro sensazione di tradimento. Per quanto i rappresentanti della legge abbiano cercato di spegnere il ricordo di Sacco e Vanzetti, il caso rimase in vita e continuò a scuotere le coscienze dei Bostoniani. Ne sono una prova l’appello del 23 agosto 1947, firmato da intellettuali, scrittori, giornalisti, avvocati, professori universitari e sindacalisti, ed il proclama del Govenatore del Massachussetts, Michael Dukakis, emesso nel 1977 affinché “ogni stigma ed onta venga per sempre cancellata dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi delle loro famiglie e dei loro discendenti.”

(Barbara Miller Solomon, Harvard University)


Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti 90/40 è il titolo di una campagna di Amnesty International per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo.

1Il testo del telegrammma si trova in Anna Maria Martellone, Una Little Italy nell’Atene d’America, Napoli, 1973, p. 438.