lunedì 13 febbraio 2017

Vanitas


Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.
(Giacomo Leopardi, A se stesso, vv. 11-16)



Noto Antica: con questo nome si intende oggi un sito archeologico a una decina di chilometri dall'attuale città di Noto. Chi la visita incontra tracce delle mura di un castello e scarsi resti di conventi e palazzi. Accanto ad uno di questi, un cartello informa che lì sorgeva «Palazzo Landolina di Belludia. Il più fastoso palazzo nobiliare barocco della città, costruito nei primi decenni del Seicento. Il portale era sormontato da un grande balcone panciuto, sorretto da una quadriga alata. Vi era scolpito il motto latino: Magni spes altera Olympi». La frase (letteralmente: seconda speranza del grande Olimpo) indica la posizione sociale della nobile famiglia, che in quella zona si riteneva seconda soltanto ai sovrani spagnoli.


Fra il 9 e l'11 gennaio del 1693, una serie di scosse di terremoto distrusse gli edifici della ricca e potente Noto; oggi delle rovine rimangono soltanto poche pietre. Scomparve così uno degli innumerevoli simboli della superbia umana, proprio al termine di un secolo che sulla vanità dei beni terreni aveva molto riflettuto e nel quale si era diffuso, in Europa, un genere di pittura che portava precisamente il nome di vanitas. Era nato nei Paesi Bassi, per il concorso di tre fattori: l'esperienza frequente, nel Seicento, di guerre, carestie e pestilenze; il divieto imposto dalla dottrina calvinista di venerare immagini sacre, che aveva indirizzato i pittori verso soggetti laici arricchiti di elementi simbolici, scelti per alludere alla sfera spirituale e religiosa; l'interesse della benestante borghesia mercantile per queste opere d'arte. Nelle vanitas si vedono oggetti di vetro, bolle, spirali di fumo e tutto quanto possa richiamare alla mente la fragilità dei desideri, dei piaceri e delle aspettative terrene dell'uomo. Alla transitorietà della vita si contrappone la definitività della morte. Si veda la Vanitas di Philippe de Champaigne, nella quale gli oggetti simbolici sono disposti sopra un ripiano di fredda pietra bianca che ricorda una lastra tombale.

                     Philippe de Champaigne, Vanitas  (1670, Le Mans, Musée des Beaux-Arts)

Jan Brueghel il Vecchio, dipingendo fiori, bruchi, crisalidi e farfalle, sottolinea che nulla permane immutato nel tempo.

 Jan Brueghel il Vecchio, Natura morta con vaso di fiori, crisalidi e farfalle (1610 circa, copia di bottega, Accademia Carrara, Bergamo)

Può essere interessante notare che in Giappone, nello stesso secolo, un'altra borghesia mercantile in ascesa si appassionava ad un analogo genere artistico: gli ukiyo-e.

Lasciate le rovine di Noto Antica, mi sono diretto a nord verso Palazzolo Acreide. Qui le persone che ho incontrato mi hanno spiegato quanto siano importanti le feste patronali di San Paolo, il 29 giugno, e San Sebastiano, il 10 agosto. In occasione di quest'ultima, mi viene raccontato, una statua del santo del peso di 1300 kg viene portata in processione da 80 giovani che si alternano a sostenerla, 40 per volta e per una decina di minuti. Essere prescelto per far parte degli ottanta è l'obiettivo di così tanti ragazzi che esiste una lista d'attesa nella quale si può rimanere anche per anni. La processione dura dalle 13 fino a mezzanotte, accompagnata da botti, esplosioni di fettucce arrotolate di carta colorata e lancio di coriandoli. Il giorno precedente, le donne preparano ciambelle di pane di oltre un metro di diametro, che il mattino della festa vengono raccolte di casa in casa con un apposito carretto trainato da asini, poi messe all'asta e acquistate dalle donne più anziane in modo che sulla tavola di ogni famiglia riunita ce ne sia una da spezzare e mangiare.
Si potrebbe obiettare che queste feste religiose implichino un enorme dispendio di energie del tutto inutile da un punto di vista sociale, economico e ancor di più politico. “Se le donne e gli uomini di Palazzolo si impegnassero con la stessa dedizione per risolvere i problemi della loro città...”, viene da pensare; e poi, riflettendo sul gran numero di analoghe faticose processioni che si svolgono ogni anno in tutta Italia, si giunge a concludere che esista un capitale di energie sciupate con le quali si potrebbero affrontare e forse superare chissà quanti secolari ostacoli che impediscono il progresso civile del nostro Paese.
La mia lettura del fenomeno è diversa: in una qualsiasi regione italiana può essere visto come vano, invece, proprio l'impegno nelle questioni sociali, economiche e ancor di più politiche, perché qualsiasi sforzo è dapprima ostacolato e infine impedito da rivalità, invidie e gelosie, da conservatorismi arcigni, ingenuità autolesionistiche e, non raramente, da catastrofi naturali. Impegno, dunque, che conduce alla frustrazione, uno stato d'animo che non è sopportabile per lungo tempo. Altrettanto deprimente, tuttavia, è la prolungata inazione. Ecco, allora, che appare chiara la funzione della festa patronale: caratterizzata da un rituale che è enormemente impegnativo, ma destinato infallibilmente al successo, essa è portatrice di una compensazione che può costituire una motivazione sufficiente per continuare a vivere per il resto dell'anno, in attesa della processione successiva. Dedicarvi le proprie energie appare, sotto questa luce, una scelta di buon senso. Come in tutti i rituali, infatti, la ripetizione del copione tranquillizza i partecipanti, i quali sanno che la riuscita dell'evento – già sperimentata in passato – è alla loro portata. Allo stesso tempo, le fatiche e le difficoltà che il rituale implica, lo rendono sufficientemente eroico agli occhi di tutti i soggetti che sentono il bisogno di mettersi alla prova per mostrare – agli altri e a se stessi - le proprie qualità. Un cimento, si direbbe, ma, a essere onesti, facilitato dalla rimozione di gran parte dei rischi e degli imprevisti della vita sociale; un lenitivo delle asprezze della vita, certo, ma con la consistenza di un sogno. In conclusione, una vanitas.
Un ultimo dubbio: queste considerazioni non valgono forse anche per il viaggio?

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