lunedì 5 settembre 2016

Lviv, Europa


L'esplorazione delle regioni che furono parte dell'impero absburgico mi ha portato quest'anno in Galizia, acquisita dall'imperatrice Maria Teresa nel 1772 con la prima spartizione della Polonia. Oggi è divisa fra Polonia e Ucraina. Ebbe come capitale Leopoli, che, come tutte le città di questa parte dell'Europa centro-orientale, ora ha un altro nome: Lviv. Anzi, più di uno, perché polacchi e russi la chiamano Lvov.



Qui hanno vissuto uomini di talento e di genio, che hanno popolato la città di forme sorprendenti scaturite dalla loro fantasia”, scrive Yuriy Nykolychyn (potete acquistare il suo Lviv presso la libreria che si trova nella via Shevska; la preziosa guida di Ruben Atoyan, invece, è in vendita nella libreria della via Teatralna, all'incrocio con la Staroyevreiska – la “vecchia via ebraica”).
Poiché ogni edificio qui è impregnato di una idea umana elevata, la sua sola visione fa lavorare il cervello del passante in modo più intenso; dopo qualche ora a passeggio fra le vie di Lviv si comincia ad essere consapevoli delle capacità umane”. Incamminiamoci, dunque, e ricordiamoci di “ringraziare coloro che hanno manifestato la forza del loro spirito allo scopo di elevare la vita delle persone al di sopra della soddisfazione dei bisogni fisiologici”. Non viaggio nelle terre un tempo absburgiche per un nostalgico desiderio di un mondo passato, ma perché in queste città vissero persone intelligenti e sensibili, le cui creazioni – artistiche, culturali, politiche – possono risuonare in noi e renderci persone migliori.
Forse era questa una delle intenzioni degli architetti e degli artisti che, dal Rinascimento alla Secessione, hanno disseminato statue e bassorilievi sugli edifici del centro storico di Lviv. La città fu fondata alla metà del XIII secolo dal principe Danylo Halytskyi e dedicata al figlio Lev, perciò il leone è il suo simbolo e numerosi sono i leoni in pietra che si incontrano. Quello che si trova nella via Ruska 4 tiene in bocca un grappolo d'uva, e si dice che sorvegli gli osti affinché non truffino i clienti. Ride, e si dice che sia ubriaco, quello che si trova nella piazza Kathedralna 2. Al numero 14 di piazza Rynok, c'è un leone di San Marco: è sulla facciata del rinascimentale palazzo dove nel XVI secolo risiedevano i mercanti veneziani.
Palazzo Gecner, piazza Rynok 28: una serie di bassorilievi - a beneficio del passante che voglia percorrere la via della saggezza - illustra massime filosofiche tratte dalle Lettere a Lucilio di Seneca. Spesso si incontrano le divinità della mitologia classica: Venere e Marte, Amore e Psiche al 4 della via Krakivska, Crono al 20 della Virmenska (la via degli Armeni), Mercurio (che protegge l'ottocentesco palazzo delle ferrovie). I busti dei personaggi che hanno dato vita alla letteratura polacca classica si trovano al 9 della via Teatralna, al termine della quale si apre la piazza dedicata al più famoso del gruppo, Mickiewicz. Su di essa si affaccia l'Hotel George, che accoglie i viaggiatori provenienti da ogni continente con le sculture allegoriche di Europa, Asia, Africa e America (e con un bassorilievo raffigurante san Giorgio). Nella via dedicata a Les Kurbas, i bassorilievi delle maschere teatrali ci indicano il luogo in cui – secondo Nykolychyn - “il teatro aiuta a vivere, a resistere al grigiore della vita, e incita all'amore”. Lo stesso effetto produce la via Akademika Bohomoltsia, dove si concentrano i migliori edifici in stile Art Nouveau della città. Il monumento posto al centro di una piazzetta della via Pidvalna è dedicato a Ivan Fedorovych, il primo tipografo ucraino, che oggi invita i passanti al mercatino dei libri usati.



Fedorovych è uno dei molti “ponti” che ho incontrato durante questo viaggio. Chiamo così i personaggi che hanno reso culturalmente più ricco il passaggio da una città all'altra, anticipandolo o completandolo. Per esempio, a Lviv lo storico tipografo pubblicò nel 1574 gli Atti degli Apostoli, primo libro in lingua ucraina, un esemplare del quale vedrò tre giorni dopo nel museo del libro di Kiev.
Fin dal primo giorno di viaggio sono stato accompagnato dai “ponti”, i quali talvolta non si presentano subito come tali, forse per lasciarmi il successivo piacere del collegamento inaspettato. Per citane qualcuno: a Venezia ho “incontrato” Max Ernst alla Fondazione Peggy Guggenheim e l'ho ritrovato a Krakow in una mostra; a Vienna è Schiele il “ponte” rispetto a precedenti viaggi - come del resto Freud, Moser, Hundertwasser e altri - mentre Rilke e Lou von Salomé - “presenti” in due diversi musei - mi ricordano che quando a Kiev andrò ai monasteri delle grotte lo farò sulle loro orme; sempre a Vienna, la casa di Wittgenstein mi riporta alla lettura di Danubio di Magris, e c'è una mostra dedicata a Kiesler, la cui città natale è Chernivtsi, una delle mie mete in Ucraina; a Krakow, una delle opere di Max Ernst (uno dei surrealisti per cui Kiesler studiò l'allestimento di una esposizione) appartiene a Peter Shamoni, l'autore del film su Hundertwasser appena visto a Vienna (come il Trittico del Giudizio di Bosch, da cui forse Ernst ha preso spunto).



Questi innumerevoli ponti, come nella biblioteca de Il nome della rosa, finiscono per formare un labirinto; in una sala del Museo etnografico di Krakow, una didascalia cita Cszeslaw Milosz: “Un labirinto. Costruito ogni giorno con le parole, i suoni della musica, le pennellate dei dipinti, le sculture e le forme dell'architettura. Così antico e affascinante da visitare che chiunque vi entri, non ha più bisogno del mondo esterno; e fortificato, poiché è stato costruito in contrapposizione al mondo”. Una definizione dell'arte e della cultura, penso, verso le quali siamo sospinti da “un bisogno di ordine, ritmo e forma, le tre parole con cui combattiamo il caos e il nulla”.

Un labirinto dovrebbe per definizione spaventare, ma questo è invece assai attraente, perché perdersi al suo interno porta, in apparente contraddizione, al massimo dei guadagni: serenità interiore e piacere intellettuale. Questa è l'Europa in cui mi piace viaggiare.

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