lunedì 26 agosto 2013

Sarajevo, luglio 2013





È l'estate del 1963. All'aeroporto di Ginevra, Jean si imbarca su un volo per Roma. La visiterà per la prima volta, benché siano vent'anni che desideri farlo. Era uno studente universitario quando Roma venne bombardata dagli Alleati prima e straziata dai nazifascisti poi. A Ginevra la guerra arrivava solo attraverso i giornali e i cinegiornali, e non era entrata più di tanto nelle vite quotidiane degli svizzeri. Era diventata, però, l'interesse principale per Jean: aveva partecipato alle manifestazioni studentesche contro la guerra e poi, in cerca di attività più concrete, aveva collaborato con le associazioni (poche) che aiutavano i rifugiati ebrei (pochi). Quelli sono rimasti, da allora, per lui i romani: persone civili in fuga dalla manifestazione più eclatante dell'irrazionalità umana. E gli italiani sono quelli che ha visto in Roma città aperta, in Sciuscià e, più recentemente, in Rocco e i suoi fratelli.
Cosa si aspetta ora da questo viaggio, diciotto anni dopo la fine della guerra? Capire, lui che non l'ha vissuta, cosa sia la guerra? Sentirsela raccontare da chi l'ha combattuta? Saranno diversi questi racconti da quelli dello zio francese che era stato in trincea nella prima guerra mondiale? Capirà perché era scoppiata? Tornerà più saggio anche se, forse, più triste?
Mentre le domande aumentano, l'aereo atterra a Roma. Dopo avere contrattato come ha imparato dai racconti dei viaggiatori, Jean prende un taxi per il centro. Un lusso che a Ginevra non può permettersi, ma anche un tentativo di estorcere le prime informazioni. Stranamente, però, il tassista è taciturno.
Jean trascorre cinque giorni a Roma, alternando le visite dei musei a lunghe passeggiate. Nelle vie del centro non sembra esserci traccia della guerra, così come del fascismo e pure dell'antifascismo. È scoppiata una forma molto concreta di pace, fatta di gente a passeggio o incollata alle vetrine, di ristoranti e gelaterie affollati di turisti stranieri. È arrivato il benessere. Il boom economico, lo chiamano gli italiani. Non ha colpito tutti, però. Non le mendicanti di fronte alle chiese, non gli anziani che cercano di vendere chincaglierie negli androni dei vecchi palazzi.
Per prima cosa, Jean ringrazia i romani per non essersi fatti travolgere, dopo la guerra, da rancori e vendette, e per avere dimostrato che si può cominciare a vivere pacificamente ed essere una città cosmopolita anche dopo una guerra lunga e per di più "civile". Certo, business is business, e conviene essere una capitale del turismo piuttosto che una capitale dell'odio. Tuttavia, non tutti lo fanno. Sarà questo, si chiede, il segreto della pace: il business? Non si dice, però, lo stesso della guerra? E se un giorno il benessere finirà, tornerà la guerra?
Siti archeologici e caffè traboccano di americani e di tedeschi, Jean li guarda e di ognuno si chiede se sia stato uno di quelli che sganciavano le bombe o fucilavano i civili. D'altra parte, di ogni romano almeno diciottenne si chiede come abbia vissuto gli anni della guerra. Ma, ovviamente, nessuno ha la risposta scritta in fronte. Visita mostre e monumenti, ma ovunque sembra che le ragioni e l'essenza della guerra vengano dati per scontati. Lo colpisce un cameriere che gli dice che ogni anno va a deporre un mazzo di fiori alle Fosse Ardeatine. Al Colosseo la guida gli racconta che porta l'auto a riparare da un meccanico nostalgico del fascismo, ma che costa meno degli altri. Il proprietario della pensione in cui alloggia non è avaro di racconti, che riguardano per lo più le difficoltà economiche patite negli anni di guerra, i razionamenti, il mercato nero, gli orti improvvisati. Ascoltandolo, Jean comincia a pensare a Robinson Crusoe: l'albergatore sorride sfoggiando la propria abilità nell'arte di arrangiarsi e la guerra è soltanto lo sfondo che la fa risaltare. Strana bestia l'uomo, che trova il modo di sfogare in ogni situazione il proprio desiderio di primeggiare. Ancora più misteriose rimangono, per Jean, le menti degli assassini; osserva a lungo alcune foto che ritraggono nazifascisti sorridenti dopo aver catturato o ucciso dei partigiani. Non sono sorrisi di sadici, ci sono piuttosto semplicità e leggerezza, più che perversione, nei loro sguardi. Come è possibile? Non si rendevano conto di ciò che stavano facendo? O si ritenevano i giocatori vittoriosi di un gioco legittimo? Ce ne sono ancora, fra i romani, di potenziali assassini? Quale scintilla potrebbe accenderli? La propaganda politica? Le difficoltà economiche? I rancori personali? Una generica frustrazione? L'invidia o la gelosia?
Jean compra una copia del Times in cui trova un articolo sulla politica italiana: la transizione al sistema democratico non può dirsi compiuta, si legge, perché i principali partiti non sono realmente soggetti al giudizio degli elettori, in quanto ognuno può contare sul proprio sicuro bacino di voti, indipendentemente dall'operato al governo o all'opposizione. La pace è, allora, nelle sole mani dei governanti? E se scegliessero di tornare alla guerra? Chi li potrebbe fermare? E da noi in Svizzera, comincia a chiedersi, come stanno le cose? Siamo davvero diversi? Abbiamo represso del tutto l'impulso a uccidere, stuprare e saccheggiare? Cosa succederebbe se i cantoni tedescofoni aggredissero quelli francofoni, o viceversa? La paura di perdere la vita non è mai stata un deterrente sufficiente contro le guerre, perché mai dovrebbe esserlo il timore di perdere la ricchezza?
L'ultima sera, Jean si siede in un caffè all'aperto di fronte alla fontana di Trevi, dominato dalla malinconia per la partenza imminente. Non ha trovato le risposte che cercava, anzi, nuove domande si sono accumulate. Una su tutte: se fossi stato, vent'anni fa, un americano o un tedesco, come mi sarei comportato?

Prova a distrarsi ammirando le donne, bellissime e consapevoli di esserlo, desiderate a distanza da uomini incerti. Sembra che la vita sia per tutti spensierata. Dolce, come ha detto Fellini tre anni prima. Per lui, invece, troppo rimane incomprensibile. Ha bisogno di ricondurre il mondo ad una qualche forma di ordine. Comincia a scrivere una lettera alla donna che ama, calcolando che lei, a Buenos Aires, la leggerà dopo un paio di settimane.