giovedì 2 settembre 2010

Vostok, parte diciannovesima


Transilvania



Braşov, apparentemente, non è stata toccata dal secolo breve. Il suo centro è un’isola pedonale qualsiasi dell’Europa centrale, affollata nel tardo pomeriggio dai suoi abitanti. Un signore oltre i sessanta siede, solo, su una delle tante panchine di piazza Sfatului. Sopra una camicia rosa a maniche corte indossa un gilè grigio e una cravatta rossa, i pantaloni e le scarpe sono neri; l’abbigliamento denota cura ma non ricchezza. I capelli grigi sono imbrillantinati all’indietro e fuma una sigaretta con il bocchino. Una famiglia occupa una panchina di fronte alla sua, a circa cinque metri: padre, madre e bimba di due anni che piange a squarciagola. Il signore si alza, estrae una caramella e va verso la bambina. Attira la sua attenzione e le porge la caramella. La bimba smette di piangere. L’uomo si volta e torna alla propria panchina, con un ampio sorriso di soddisfazione sul volto.

Una coppia siede su un’altra panchina; sfogliano insieme un tabloid scandalistico. Leggono e commentano ad alta voce, con partecipazione, a tratti si accalorano. Lui ha almeno settant’anni, la pelle è scura e rugosa, la barba e i capelli bianchi, porta jeans scoloriti, un giubbotto di pelle nera e un berretto verde con visiera. Ai suoi piedi ha posato una borsa di cuoio chiaro. Lei sembra più anziana, ha un volto maschile, allungato, con gli stessi segni del tempo, e la bocca è sdentata. Un berretto di lana in testa, trattenuto da un foulard rosa legato sotto il mento. Indossa una camicia con uno stampato floreale sul bordeaux, un gilè grigio e ha una borsa nera a tracolla. Sotto la gonna spuntano spesse calze marroni, che un altro paio di calzini divide dalle scarpe di foggia maschile. Si direbbero entrambi vestiti con abiti recuperati da qualche ente di beneficenza.

La bambina che aveva ricevuto la caramella dal fumatore con il bocchino arriva di corsa di fronte alla coppia, si inciampa, cade e scoppia a piangere a squarciagola.

Nella Biserica din Deal, ovvero la chiesa sulla collina, di Sighişoara si fanno incontri inconsueti: un affresco in cui la Trinità è rappresentata da una testa con tre volti e lo Spirito Santo ha le sembianze di una fanciulla, un crocifisso ricavato da un albero i cui rami sono stati soltanto spuntati, un custode che vuole sapere cosa si conosce dei Daci in Italia. L’uomo ci tiene a sottolineare che la Transilvania è sempre stata una regione economicamente sviluppata grazie alla presenza di una consistente comunità di origine tedesca. A differenza dei principati di Moldavia e Valacchia, nel Medioevo la Transilvania apparteneva alla corona ungherese; dopo essere stata tributaria del sultano in seguito all’occupazione turca, nel 1687 entrò a far parte dell’impero austro-ungarico, al quale la Romania l’ha sottratta dopo la Prima Guerra Mondiale. La presenza delle popolazioni germaniche, però, è precedente al periodo absburgico; risale al XII secolo, quando il re ungherese Géza II fece arrivare nella regione un gruppo di coloni sassoni. Il primo documento relativo a Braşov è del 1235, quando la città si chiamava Kronstadt. Un secondo contingente di sassoni fu chiamato a difendere il fianco sud-orientale dei suoi possedimenti dal re Béla IV dopo le devastanti incursioni mongole del 1241. Da allora la composizione etnica della Transilvania è il risultato di tre elementi: ungherese, romeno e tedesco. La Riforma luterana vi fu introdotta nel 1542 da Johannes Honterus, un umanista che aveva studiato a Vienna e insegnato a Cracovia e Basilea. Geografo, cartografo, cosmografo e giurista, nel 1539 aveva avviato a Kronstadt la prima tipografia dell’Europa sud-orientale e nel 1547 allestito la più grande biblioteca dell’area. Un piccolo museo gli è stato dedicato all’interno della Biserica Neagră, la chiesa in stile gotico che deve il nome all’incendio che la annerì nel 1689. Il pavimento del suo spoglio interno è di legno chiaro, non lucidato, e le colonne e le pareti sono, rispettivamente, di color caffelatte e bianco avorio. Le pareti delle navate sono arredate con stalli di legno scuro, mentre le nervature del soffitto dell’abside sono di un verde pallido. L’armonia dei colori è perfezionata da 119 tappeti turchi, appesi ovunque, che sono prevalentemente ocra con un mihrab rosso mattone nella parte centrale. Vennero donati alla chiesa nel XVIII secolo dai commercianti locali di ritorno dall’impero ottomano.

Uno dei centri di diffusione dell’architettura gotica in Transilvania fu il monastero cistercense di Cârţa, fondato nel 1202 lungo il fiume Olt. Oggi esso è incluso nel circuito turistico che permette di visitare le oltre venti chiese fortificate della regione, elemento centrale dei villaggi sassoni. Come si può vedere bene a Moşna, la pianta dei villaggi ricorda la lisca di un pesce, in cui la chiesa è la testa da cui parte una strada ai lati della quale sorgono due file di case dalla forma stretta e allungata. Sulla via, ingentilito da un pergolato di vite, si affaccia il lato corto delle abitazioni e alle loro spalle si estende la striscia di terra che veniva assegnata a ogni famiglia secondo un criterio rigorosamente egualitario. I cittadini di origine tedesca costituivano all’inizio del XX secolo il dieci per cento della popolazione transilvana, ma molti di loro hanno abbandonato la Romania dopo il 1989 per trasferirsi in Germania. Vi è, comunque, un movimento in senso inverso: tedeschi sono i fondi che sostengono la manutenzione delle chiese fortificate, così come quelli che hanno permesso la ristrutturazione di un edificio che oggi è sede dell’ostello di Sighişoara.

Vista dai Balcani, la geopolitica europea della seconda metà dell’Ottocento ricorda una partita di risiko nella quale due giocatori, Francia e Russia, cercano di indebolire gli altri due, gli ottomani e gli Absburgo, che, all’inizio del gioco, hanno occupato i territori strategici. Nel tentativo di spolparli dei loro possedimenti si servono degli appetiti dei giocatori meno forti: Bulgaria, Romania, Serbia e Regno di Sardegna, poi d’Italia, le cui mosse sono spesso sorprendentemente simili e coordinate. Dopo la guerra di Crimea e con l’aiuto francese i principati di Moldavia e Valacchia diedero vita alla Romania, la cui indipendenza venne riconosciuta al Congresso di Berlino grazie al sostegno russo, così come avvenne per la Bulgaria.

Durante Grande Guerra, poi, gli scambi di cortesie si fecero ancora più concreti. Nel novembre 1915, quando l’esercito serbo era in piena dissoluzione e cercava rifugio in Albania con la speranza di raggiungere la costa adriatica, l’Italia inviò un corpo di spedizione a occupare il porto di Durazzo per proteggere il fianco destro dell’esercito serbo in rotta.

Nel giugno 1918, fra i prigionieri di guerra concentrati nel campo di Avezzano vi erano anche dei romeni, i quali formarono una legione di volontari con il proposito di combattere a fianco degli italiani. Nel Museo Storico di Alba Iulia si può leggere una lettera in cui, nel novembre dello stesso anno, Sidney Sonnino scrive al Consiglio Nazionale dell’Unità Romena: «L’Italia non ha dimenticato con quale slancio patriottico e con quale nobiltà di sacrificio la Romania ha partecipato alla sanguinosa lotta, oggi vittoriosamente chiusa, per la liberazione dal giogo nemico e per il trionfo comune della libertà e della giustizia nel mondo. Al conseguimento dei più sicuri diritti politici e territoriali del popolo e della nazione romena il governo italiano darà tutto il suo appoggio.» Analogo appoggio diede il governo francese e il primo dicembre 1918 si giunse alla proclamazione dell’unione della Transilvania alla Romania. Un altro boccone del defunto impero austro-ungarico venne assegnato dalle potenze vincitrici ai romeni nel 1920: la Crişana e parte del Banato (una fetta andò alla Serbia), regioni che erano diventate territori absburgici nel 1718 grazie alle vittorie militari di Eugenio di Savoia. Oggi, percorrendole, si fa fatica a pensare che siano mai appartenute ad altri, tanto evidente è l’impronta austro-ungarica nell’aspetto delle loro città.

I criteri di ammissione imposti dall’Unione Europea hanno spinto la Romania a ripristinare ufficialmente il bilinguismo, e talvolta il multilinguismo, di queste zone, come si vede dai tabelloni ferroviari in cui compaiono i nomi ungheresi delle città accanto a quelli romeni. Ciò dovrebbe evidenziare la natura pluralista e rispettosa delle diversità che caratterizza l’Unione Europea. Tuttavia, c’è anche chi è scettico circa le prospettive che l’ingresso nell’Unione aprirà alla Romania.

A Sibiu, che nel 2007 è capitale europea della cultura, visito ARTVO, la prima galleria privata d’arte contemporanea. Daniela Turcu, curatrice e pittrice lei stessa, mi mostra una serie di dipinti del trentenne Ciprian Muntiu; il tema è l’ingresso nell’Unione e il pittore ha deciso di trattarlo dipingendo una serie di pesci che nuotano in un blu che è quello della bandiera europea. European commissioner è, per esempio, il pesce grosso che passa minaccioso accanto al pesce piccolo. Il titolo più esplicito è quello di un dipinto in cui sono sovrapposti tre pesci, rispettivamente rosso, giallo e blu come le strisce della bandiera romena: The same shit.

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