mercoledì 29 settembre 2010

Vostok, parte seconda



Le malelingue

La madre di Egon Schiele era nata a Cesky Krumlov, cittadina che ha trasformato uno dei palazzi del suo centro storico nell’Egon Schiele Art Centrum. Il padre, lo zio e il nonno del pittore erano ferrovieri, pionieri delle costruzioni e capistazione, presso le ferrovie lavorava la sorella maggiore Melanie e ingegnere ferroviario era pure il tutore che fu nominato dopo la prematura morte del padre. Inevitabilmente, anche Egon venne avviato a studi tecnici, prima che alcuni insegnanti lo incoraggiassero a optare per le arti. Ormai più che ventenne, comunque, sbalordiva i suoi ospiti riproducendo alla perfezione «il sibilo del vapore, il fischio dei segnali, lo sferragliare delle ruote, i sussulti delle rotaie, lo stridere degli assi e delle molle, gli sbuffi della partenza e lo stridere metallico dell’acciaio dei freni», come scrive in una lettera del 1913 il critico d’arte Arthur Roessler.
Nel 1910, a vent’anni, si stabilì a Cesky Krumlov e prese in affitto un atelier con il suo amico Erwin Osen. Pochi mesi prima aveva scritto al suo futuro cognato Anton Peschka: «Vorrei andarmene da Vienna, subito. Com’è brutto qui. La gente è invidiosa e infida. I colleghi di una volta mi guardano con occhi falsi. A Vienna c’è ombra, la città è nera: tutto è malato. Desidero essere solo. Voglio andare nella foresta boema. Maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre. Voglio vedere cose nuove e le voglio studiare; voglio assaggiare l’acqua cupa, voglio vedere degli alberi incrinati, aria selvaggia, voglio osservare con stupore siepi coperte di muffa, voglio vedere come tutto questo vive; voglio vedere giovani boschetti di betulle e voglio sentire le foglie tremolanti; voglio vedere luce, sole e godere della rugiada delle valli notturne umide e azzurrognole; vorrei cogliere il guizzo dei pesci dorati, vedere formarsi nuvole bianche, vorrei parlare ai fiori.»
Durante quel soggiorno Schiele disegnò soprattutto sé stesso e l’amico Erwin, entrambi generalmente nudi, ma anche Krumlov posò per i suoi quadri. Riprese il tema della città morta, sfruttato da simbolisti e decadentisti alla fine del secolo precedente, e lo rielaborò per esprimere un proprio stato d’animo, come nell’opera dall’eloquente titolo Dolore universale, realizzata appunto nel 1910 e in seguito distrutta. Non dipingeva città nere e malate per registrare compiaciuto il loro disfacimento e offrirlo all’impietoso confronto con la loro passata opulenza; piuttosto, esperto nell’arte dell’autoritratto, si confermava sapiente utilizzatore di ogni tipo di specchio, servendosi degli edifici per riflettere la propria tristezza. Negli anni seguenti le case di Krumlov comparvero in vari quadri intitolati Città morta e, esplicitamente, in Paesaggio di Krumau del 1916.
Nel 1911 Schiele affittò nuovamente una casa a Krumlov e iniziò a convivere con Wally Neuzil, sua modella diciassettenne. Ritraeva frequentemente adolescenti nude o semivestite e questa abitudine suscitò le lamentele dei concittadini, che già disapprovavano la convivenza con Wally. Le scene di autoerotismo, ritratte per esempio nel Nudo femminile sdraiato per metà del 1910, erano uno dei suoi temi preferiti. La coppia fu costretta ad andarsene da Cesky Krumlov nello stesso 1911. Si stabilirono a Neulengbach, vicino a Vienna, ma non trovarono pace. Schiele, a causa della convivenza con la giovane, venne accusato di aver traviato, sedotto e rapito una minorenne, e quindi arrestato, incarcerato per tre settimane e processato. Al termine della vicenda giudiziaria le accuse furono ritirate, ma il pittore venne comunque condannato a tre giorni di reclusione per l’immoralità dei suoi disegni e per aver permesso ai compagni di scuola delle sue modelle di entrare nell’atelier. Erano stati proprio quei ragazzini a raccontare in giro quali fossero i soggetti dipinti da Schiele e a far scattare, di conseguenza, la denuncia.
Le carrozze del treno che mi riporta a Ceske Budejovice non sono recenti, ma molto pulite e si viaggia in assoluta puntualità, nessuno dei passeggeri alza la voce e nessuno usa il telefono cellulare. Molti, sia ragazzi che adulti, viaggiano con bicicletta, grandi zaini e attrezzatura da campeggio verso le località di montagna pubblicizzate nelle carrozze e nelle sale d’aspetto. I passaggi a livello non hanno sbarre, soltanto un semaforo, e gli automobilisti non passano con il rosso, neanche se il treno si è fermato qualche decina di metri prima dell’incrocio per far salire o scendere qualcuno.
Si viaggia fra campi di cereali e foreste di conifere a cui si sovrappone spesso un cielo plumbeo: la bandiera della Repubblica Céca dovrebbe essere a strisce orizzontali, gialla, verde e grigia. Al posto dello stemma che talvolta campeggia al centro delle bandiere, ci potrebbe stare la sagoma di un villaggio, con l’affusolato campanile che spesso, all’orizzonte, come una spilla aggancia la fascia gialla alla grigia e comprime la verde.
Nella lettera a Peschka, Schiele aveva aggiunto: «Vorrei correre lontano senza fermarmi su monti rotondi coperti di prati, attraverso ampie pianure; vorrei baciare la terra ed odorare i morbidi e caldi fiori di muschio. Allora io stesso potrò creare delle forme così belle: campi colorati…»

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